Pensare Globale e Agire Locale

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sabato 1 giugno 2013

PORTGALLO - Lisbona, la festa dei senza lavoro


Disoccupazione record. Salari da fame. Il Portogallo chiede aiuto all'Onu. E scende in piazza.

di Daniele Coltrinari

Quando le speranze sono finite, non resta che appellarsi alla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo. Succede anche questo nel Portogallo piegato da cinque anni di recessione, sopraffatto dai debiti e in cui quasi un cittadino su quattro è senza lavoro.
I disoccupati in terra lusitana sono il 17% della popolazione: il record dai tempi della fine della dittatura, nel 1974. Allora ci si appellava alla Carta universale per chiedere libertà e democrazia, oggi s'invoca per chiedere dignità: quella che arriva dall’avere un impiego e un salario.
L'APPELLO ALLE NAZIONI UNITE. L’idea è del Movimento sem emprego, movimento senza lavoro, un gruppo spontaneo formatosi all'inizio del 2012 tra i molti che la crisi ha costretto ai margini della società. E che nelle associazioni già esistenti, sindacati in testa, non trovano rappresentanza.
I Sem emprego chiedono così che «vi sia un'effettiva attuazione dell'articolo 23 della Dichiarazione universale, cui il Portogallo è vincolato da trattati internazionali, che sancisce che ogni individuo abbia diritto al lavoro, alla libera scelta dell'impiego, a giuste e soddisfacenti condizioni di lavoro e una giusta protezione sociale contro la disoccupazione», spiega a Lettera43.it Bruno Cardiga, attivista dell’associazione, laureato, disoccupato da un anno e mezzo, con una figlia di quattro anni a carico.
IN PIAZZA PER IL PRIMO MAGGIO. Al governo di Lisbona vincolato a doppia mandata ai diktat europei - come il prestito da 78 miliardi di euro ricevuto a fine 2011 per evitare la bancarotta - la richiesta deve apparire come una follia.
Ma il Movimento sem emprego è diventato sempre più grande. E non è l'unico gruppo nato da giovani, precari e disoccupati in rivolta con un sistema che li esclude. Come testimonia la manifestazione indetta per il 1 maggio - festa internazionale del lavoro - dai Precários inflexíveis. Ovvero coloro che il lavoro non ce l’hanno. Né tanto meno hanno qualcosa da festeggiare.

La nuova generazione è schiacciata dalla crisi


Esclusione è la parola chiave della generazione lusitana affondata nella crisi. Cresce tra i giovani la rabbia nei confronti di chi detiene il potere o ha modo di influenzarlo. Ma anche verso chi ancora gode di qualche forma di protezione a loro negata.
A Lisbona, infatti, da anni il lavoro nero o atipico è l’unico biglietto da visita di una generazione di laureati, poliglotti e specializzati senza però possibilità di impiego alla luce del sole.
NESSUNA TUTELA DAI SINDACATI. «I sindacati si occupano solo dei lavoratori con contratto a tempo indeterminato. I diritti degli altri non contano», riassume per tutti Rui Martinho 36 anni, un master e un'esperienza come docente d'inglese prima che la crisi travolgesse persino il pubblico impiego, che dà lavoro al 12% della popolazione.
Martinho si è messo in proprio come libero professionista e oggi fa il traduttore per aziende internazionali. Ma la sua fiducia nella rappresentanza e nella politica si è frantumata.
IL SALARIO MINIMO È DI 485 EURO. Il suo percorso è comune a molti. La maggior parte dei laureati del Paese (il 15% dei giovani fino a 34 anni) può infatti ambire a poco di più che a un lavoro in un call center internazionale, pagato per 40 ore settimanali non più di 900 euro al mese.
«Ci salva solo il fatto che in Portogallo esiste un salario minimo di 485 euro, soglia sotto la quale non si può scendere per una retribuzione mensile, nel settore pubblico e privato», conclude Sérgio Raposo, 35 anni, laureato in geografia e impiegato otto ore al giorno a rispondere alle telefonate di clienti scocciati in arrivo dai Paesi più ricchi del Nord Europa che qui delocalizzano i propri servizi.

Per la disoccupazione servono almeno sei mesi di lavoro


Sopravvivere non è facile. Per ricevere dal governo il sussidio di disoccupazione bisogna aver lavorato almeno sei mesi in modo regolare, cosa che di questi tempi è quasi impossibile.
In base all’ultimo salario e alla durata dell’impiego cambia l’importo e la durata dell’aiuto statale: durante il primo anno di disoccupazione si riceve l’80% del vecchio stipendio, dopo un anno lo si percepisce decurtato del 10%, dopo altri sei mesi si scende di un altro 10%.
Per ottenere il sussidio, inoltre, bisogna dimostrare che si sta cercando attivamente una nuova occupazione e presentarsi ogni 15 giorni in un ufficio del Centro de emprego (il centro di impiego), un modo con cui Lisbona evita il lavoro in nero. Il risultato, spiegano i ragazzi, è che per prendere la disoccupazione si rischia di perdere ogni occasione di entrata.
L'UNICA SPERANZA È FUGGIRE. Non solo. Le cifre degli aiuti sono esigue.
«Prima ricevevo 485 euro al mese, ora 427 euro», racconta Ines Santos Adão, 24 anni, residente ad Almada, a qualche chilometro di distanza da Lisbona.
La sua conclusione, come quella della maggior parte dei lusitani, è una sola: andarsene. Magari verso l’Angola o il Brasile, antiche colonie diventate l'Eldorado per giovani laureati senza speranze.
LA COLONIZZAZIONE DELLA TROIKA. L’unica altra speranza è che s'invertano le politiche dell’Eurozona: «Dobbiamo cambiare politica economica, il Portogallo non può essere 'colonizzato' dalla Troika (Unione europea, Fondo monetario internazionale e Banca centrale europea, ndr, dice Arménio Carlos, segretario generale del Cgtp, il primo sindacato del Paese.
Il suo grido, però, si perde nella risacca del Tago che attraversa Lisbona. Nessuno crede infatti che sia davvero possibile. E qualcuno, in Portogallo, inizia a dubitare persino che neppure Carlos creda più alle sue parole.

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