L'Ue e il ruolo dei
parlamenti nazionali
Charles Grant,
The Guardian
L’Unione europea soffre da tempo di
una mancanza di legittimità, ma la crisi dell’euro ha aggravato il
problema. Non c’è una soluzione ottimale che possa improvvisamente far sì che
l’Ue sia rispettata, ammirata, o diventi anche solo popolare tra molti europei.
Le sue istituzioni sono geograficamente lontane, difficili da conoscere e
spesso si occupano di aspetti tecnici astrusi.
Se i leader dell’Ue non riusciranno
a diventare più credibili agli occhi degli elettori, se non ne saranno
legittimati, alcune parti dell’Unione potrebbero iniziare a staccarsi. Per
esempio, a un certo punto i governi della zona euro potrebbero cercare di
rafforzare la loro valuta prendendo alcuni provvedimenti decisivi in direzione
di un sistema più integrato di decisione delle politiche economiche. Ma poi è
sufficiente che un parlamento nazionale, un’elezione generale o un referendum
blocchino questi provvedimenti e il futuro dell’euro è a rischio.
Le istituzioni politiche guadagnano
in legittimità dai loro output e dai loro input: gli output sono i vantaggi che
le istituzioni dovrebbero garantire, gli input le elezioni con le quali chi
esercita il potere è chiamato a rispondere del proprio operato. La crisi
dell’euro ha indebolito entrambe queste forme di legittimità.
Gli output non sono certo granché:
la crescita economica è negativa nella maggior parte dell’Europa, la
disoccupazione nella zona euro ha superato il 12 per cento e la disoccupazione
giovanile in Spagna e Grecia è addirittura oltre il 50 per cento. Per molti
cittadini non è così evidente che l’Ue o l’euro stiano garantendo loro alcun
vantaggio.
Nel frattempo la legittimità
derivante dagli input è confusa. Tenuto conto della complessità del processo
decisionale, vista la dispersione dei poteri in più istituzioni, le gerarchie
della responsabilità nell’Ue non sono mai state molto trasparenti. Ma la
percezione del deficit democratico è un problema sempre più grande per i paesi
fortemente indebitati della zona euro. La troika, non eletta e formata dalla
Commissione europea, dalla Banca centrale europea e dal Fondo monetario
internazionale, ha obbligato i parlamenti nazionali ad accettare tagli di
bilancio e riforme strutturali. Le grandi decisioni relative ai programmi di
bailout nell’Ue sono prese dai ministri delle finanze dei paesi della zona euro
e dai capi di governo.
Che fare, quindi,
per incrementare la legittimità dell’Ue? I leader europei dovrebbero
accelerare la costituzione di un’unione bancaria per rafforzare il sistema
finanziario, la Germania dovrebbe stimolare la domanda aiutando le economie
dell’Europa meridionale a crescere e le riforme strutturali dovrebbero
ripristinare la competitività delle economie. La disoccupazione a quel punto
inizierebbe a calare, i leader dell’Ue sembrerebbero più competenti e il
sostegno agli euroscettici e ai populisti si dileguerebbe.
Ma i leader dell’Ue devono fare
anche dell’altro: devono rendere l’Ue più responsabile dal punto di vista del
potere, più pronta a rispondere del proprio operato. Per molti europarlamentari
la soluzione è semplice: quando le decisioni sono prese a livello dell’Ue il
Parlamento europeo dovrebbe esercitare il controllo democratico. Di
conseguenza, se più decisioni si prendono a livello dell’Ue, pensano, il
Parlamento dovrebbe acquisire maggiori poteri su di esse.
Ma il parlamento, malgrado il buon
lavoro che ha fatto su alcune leggi, non è riuscito a convincere molte persone
che agisce in rappresentanza dei loro interessi. Molti europarlamentari hanno
pochi contatti con i sistemi politici nazionali. E la priorità del parlamento
sembrano spesso incrementare i propri poteri, ottenere un budget Ue maggiore e
dare all’Ue un ruolo più importante, ma non sembra che molti elettori le
condividano. Ciò può spiegare per quale motivo, sebbene i poteri parlamentari
siano cresciuti progressivamente sin dalle prime elezioni dirette del 1979,
l’affluenza alle urne sia andata calando da un’elezione a un’altra (passando
dal 63 per cento degli aventi diritto nel 1979 al 43 per cento nel 2009).
Un’altra ragione per cui il
parlamento europeo non può essere la principale forma di controllo democratico
del processo decisionale della zona euro è che la maggior parte dei capitali
necessari per i bailout arrivano dai parlamenti nazionali, non dal budget
dell’Ue. È vero: le decisioni sui bailout e i presupposti necessari a ottenerli
a certe clausole sono prese a livello dell’Ue dai capi di governo o dai
ministri delle finanze. Ma le loro decisioni devono essere integrate dai
parlamenti nazionali, che pertanto rivestono un ruolo cruciale sia nei paesi
donatori sia in quelli beneficiari: il Bundestag deve approvare le cifre
necessarie al bailout di Cipro, mentre il parlamento cipriota ha dovuto votare
per liquidare le banche dell’isola.
Cartellino
rosso
Ci sono buone ragioni per aumentare
il coinvolgimento dei parlamentari nazionali nella governance della zona euro.
Negli ultimi anni parecchi enti hanno cominciato a riunire i parlamentari e gli
europarlamentari. Il recente trattato per la stabilità fiscale ha fissato una
“conferenza” tra i primi e i secondi per discutere a fondo di politica
economica. In ogni caso queste riunioni, per quanto utili, sono puramente
consultive e non danno ai parlamentari sufficienti interessi nell’Ue.
I parlamentari nazionali potrebbero
far sì che l’Ue risponda maggiormente del proprio operato in due modi. Prima di
tutto i collegamenti tra i parlamenti nazionali dovrebbero essere rafforzati.
Il trattato di Lisbona ha dato vita alla procedura del “cartellino giallo”,
grazie alla quale se un terzo o più dei parlamenti nazionali crede che una
proposta della commissione infranga il principio di sussidiarietà – l’idea che
le decisioni dovrebbero essere prese al livello più basso compatibile con
l’efficienza – sono autorizzati a chiedere che essa sia ritirata. La
commissione deve quindi ottemperare a ciò o giustificare perché intende
proseguire nella sua decisione. Questa procedura, utilizzata un’unica volta
finora, potrebbe evolvere in un “cartellino rosso”, con la quale i parlamenti
nazionali potrebbero costringere la commissione a ritirare una data proposta.
Un sistema simile potrebbe permettere ai parlamenti nazionali di fare gruppo e
unirsi per far sì che la commissione proponga il ritiro di una legge superflua.
In secondo luogo a Bruxelles
dovrebbe essere istituito un forum dei parlamenti nazionali. Invece di copiare
il lavoro legislativo del parlamento europeo, dovrebbe rivolgere domande e
scrivere rapporti su alcuni aspetti dell’Ue e della governance europea che
comportano un processo decisionale unanime. Il forum potrebbe monitorare il
Consiglio europeo, sfidare le decisioni di politica estera, difesa e sicurezza.
Per le questioni relative alla zona euro questo nuovo ente potrebbe essere
convocato in forma ridotta, senza i parlamentari dei paesi non appartenenti
alla zona euro, e approvare i pacchetti di salvataggio dei bailout. Potrebbe
anche mettere in discussione, e magari nominare il presidente dell’eurogruppo.
Nel lungo periodo i parlamentari nazionali dovranno essere coinvolti
maggiormente nell’Ue, perché sono portatori di una legittimità di cui spesso
gli europarlamentari sono del tutto privi. (Traduzione di Anna Bissanti)
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