I tagli alla spesa
hanno una storia di risultati modesti. Perché sono tornati di moda?
Tom Streithorst, Prospect
Tom Streithorst, Prospect
Le politiche dell’austerity sono un disastro,
questa in estrema sintesi il parere espresso per Prospect da Tom
Streithorst. La Grecia, nonostante la cura da cavallo a cui ha
sottoposto la sua spesa pubblica, rovinando il futuro di una generazione, ha
visto crescere il debito governativo come percentuale del Pil. La spesa
pubblica è scesa, ma anche il Pil, e in maniera più significativa. L’Irlanda,
che ha applicato una ricetta economica simile, langue da tempo e lo stesso
governo Cameron a Londra dovrebbe riflettere e cambiar presto rotta. L’Islanda,
che viceversa ha rifiutato l’austerità in toto, sta crescendo. Nel frattempo,
la Francia è tornata in recessione, la disoccupazione europea supera il 12% e
l’intera economia continentale declina da almeno un anno e mezzo. Pertanto la
pubblicazione di Mark Blyth, Austerity:
The History of a Dangerous Idea (Oxford University Press), pare
quanto mai tempestiva.
Blyth, professore di Politica Economica
presso la Brown University, ci ricorda che al primo manifestarsi della
crisi finanziaria (qualche anno fa), nessuno parlò di tagli alla spesa
pubblica. Molti di coloro che oggi invocano l’austerity insistevano allora
perché i governi salvassero le banche per evitare un collasso sistemico.
Comprare il cattivo debito delle banche gonfia inevitabilmente il debito.
Pertanto, pare difficile sostenere che i debiti pubblici siano cresciuti a
causa dei governi spendaccioni, quando quegli stessi governi sono stati
semi-obbligati a salvare il sistema finanziario prossimo al collasso. Nel 2007
il debito pubblico irlandese ammontava al 25.1% del Pil, quello spagnolo al
36.3. Molto al di sotto di quello della Germania!
L’austerity è salita in cattedra nel 2010,
due anni abbondanti dopo lo scoppio della crisi finanziaria, scaricando i costi
della stessa sul lavoro e la previdenza sociale. Questo almeno secondo Blyth,
ma è difficile dargli torto.
Austerity: The History of a Dangerous Idea descrive in primo
luogo l’attuale fortuna e diffusione delle politiche dell’austerity. In secondo
luogo, esplora le radici intellettuali del concetto e le sue reali applicazioni
nel corso del XX secolo, come l’ascesa hitleriana sullo sfondo dell’austerità tedesca
degli anni Trenta o come il collasso dell’economia americana nel 1937, quando
Roosevelt fu costretto a un intervento massiccio per risollevarne le sorti.
Insomma, è chiaro che nel novecento i tagli e le contrazioni della spesa hanno
avuto scarso effetto, peggiorando semmai situazioni fragili e instabili.
Certo, si tratta di una impostazione
economica dai nobili natali filosofici, da John Locke a David Hume per arrivare
all’irrinunciabile caposaldo Adam Smith, frettolosamente arruolato ex post
nelle file degli ultraliberisti. Nonostante il pedigree invidiabile, i
sostenitori del laissez faire rimasero spiazzati dal crollo borsistico del
1929, che precipitò il mondo nella peggior depressione a memoria d’uomo.
All’epoca JohnMaynard Keynes lanciò l’idea che
le economie non necessitassero inevitabilmente di ritornare all’equilibrio di
pieno impiego. Il ragionamento era, ed è, piuttosto semplice: “Tagliare i
salari aiuta la singola impresa ma, dato che i lavoratori sono consumatori, un
più basso livello di spesa per consumi finisce per ridurre la domanda globale;
la fiducia delle imprese si fonda chiaramente sulla domanda dei loro beni … ed
esse investono e assumono nuovi addetti quando il consumo sostiene la
produzione. Di conseguenza, se il settore privato taglia le spese, tocca al
governo intervenire per sostenere la domanda globale.” La Seconda Guerra
Mondiale ha dato ragione all’economista britannico. E’ stata la spesa in
deficit dei governi a porre fine alla Grande Depressione e a garantire la
crescita del mondo occidentale per un trentennio.
Per decenni i teorici dell’austerity hanno
giocato in difesa, salvo ricomparire sotto le insegne di Milton Friedman, che
una volta disse: “Il ruolo degli economisti è mantenere in vita le idee sino a
quando la situazione politica consente loro di ritornare di attualità.” Peccato
che il riemergere dello Stato minimo e dell’austerità si sia rivelato un
fiasco. Ci tocca sperare che ricominci presto l’oblio, conclude
Streithorst. (A cura di Fabio Lucchini)
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