Pensare Globale e Agire Locale

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martedì 17 settembre 2013

ITALIA - Pd, le profezie di vittoria deluse


Da Occhetto a Bersani, ostentare sicurezza non porta bene alla sinistra. L'«asfaltatore» Renzi è avvisato.

Anche Matteo Renzi, alla fine, si è fatto prendere dall’ottimismo e intervenendo alla festa del Pd milanese, ha sentenziato: «Se si va al voto li asfaltiamo».
Pure lui, quindi, ha sfoggiato quella sicumera che, statisticamente, non ha mai portato bene a sinistra.
UN VENTENNIO CONTRO B. Il sindaco di Firenze è, però, in buona compagnia. Gli esponenti piddini, infatti, più o meno smaccatamente, continuano a ripetere sempre lo stesso errore: sopravvalutare le proprie forze e, di contro, sminuire quelle degli avversari. Anzi, dell’avversario. Visto che il competitor da sconfiggere da 20 anni a questa parte è sempre lui: Silvio Berlusconi.
Insomma, la «gioiosa macchina da guerra» guidata da Achille Occhetto e sconfitta alle urne nel 1994 pare non aver insegnato nulla.

Da «smacchiata» a «smacchiatina»


Coazione a ripetere o banale spocchia, fatto sta che questo atteggiamento nella maggior parte dei casi si è rivelato un boomerang nel confronto con le urne.
Lo conferma la sfortunata ambizione bersaniana di «smacchiare il giaguaro» (cioè il Cavaliere). Un vero e proprio tormentone per l’ex segretario Pd e candidato premier del centrosinistra. Al punto da non riuscire ad abbandonare lo slogan neppure una volta archiviato un risultato elettorale dimezzato. Definito «una smacchiatina», appunto, a sentire l’ex numero uno di Largo del Nazareno.
LA VITTORIA RISICATA DEL 2006. Quanto a baldanza, tuttavia, con le elezioni politiche del 2006 la sinistra si è davvero superata. Non a caso, l’Ulivo guidato da Romano Prodi era talmente sicuro di vincere che la sera dello spoglio, a risultati ancora non definitivi, i suoi dirigenti decisero di festeggiare ugualmente la vittoria in piazza SS. Apostoli a Roma. Salvo, poi, dover fare i conti con una vittoria risicata (solo 24 mila voti di scarto rispetto al centrodestra). Eppure il risultato del listone Uniti per l’Ulivo insieme delle precedenti consultazioni europee del 2004 (Ds e Margherita, per la prima volta insieme, si fermarono al 31,8% di consensi) avrebbe dovuto indurre i big del centrosinistra alla prudenza.
Ma se, alla vigilia del voto in Europa, persino un uomo d’indole diplomatica come il premier Enrico Letta, allora esponente della Margherita, mise da parte il suo aplomb per abbracciare i toni trionfalistici, allora è lecito pensare che la «sindrome» non risparmi nessuno tra i democratici.
I PRONOSTICI DI LETTA. «Sento che il tempo di Berlusconi è scaduto», disse Letta dalla Fiera di Milano il 22 maggio 2004, «sta arrivando il tempo dell'Ulivo. Ognuno di noi deve fare la sua parte perché questo diventi un fatto concreto nelle urne e perché inizi la lunga rincorsa che porti alla vittoria e alla nascita di un governo Prodi nel 2006».
Scaramazia? Ottimismo? Marketing? Comunque lo si voglia definire, questo spirito contagiò pure Piero Fassino che dallo stesso palco tuonò: «Il voto dimostri che la Casa della libertà non è più maggioranza nel Paese ma che la maggioranza siamo noi». Salvo poi rincarare la dose: «Già adesso la Lista è più forte di Forza Italia».

La cabala di D'Alema


In vista del voto europeo del 2004, però, il titolo di campione di sicumera se l’è aggiudicato Massimo D’Alema. Il lìder Massimo, con le sue previsioni ottimistiche sul risultato elettorale (fissò le percentuali del listone intorno al 37%), non ha davvero nulla da invidiare ai più recenti propositi di asfaltatine e smacchiatine.
Una sicurezza di sé che non ha mai abbandonato l’ex ministro degli Esteri, esperto anche in pronostici a lunga distanza. Come quando nel maggio 2010, ospite di Exit su La 7 vaticinò sull’esito delle Politiche del 2013: «Le prossime elezioni le vinciamo noi».
LA REGOLA DELL'ALTERNANZA. D’Alema fu serafico nello spiegare il suo ragionamento. «Abbiamo perso nel ’94, abbiamo vinto nel ’96, §abbiamo perso nel 2001, abbiamo vinto nel 2006, abbiamo perso nel 2008: la prossima volta vinciamo. È il nostro turno: ci stiamo organizzando per vincere e durare a lungo».
Ma la spavalderia non ha abbandonato l'ex ministro degli Esteri neppure nelle sfide politiche territoriali. E così, nella competizione per le primarie in Puglia tra Francesco Boccia e Nichi Vendola (in vista delle Regionali del 2010), non pareva avere dubbi sull’affermazione del primo competitor. «Vedo che tutti danno per scontato che a vincere le primarie sarà Vendola», disse. Non senza fare ironia sulle «verità preconfezionate nelle redazioni dei giornali, che non sempre riflettono quello che avviene nella società». Peccato che poi, a vincere fu il leader di Sel.
IL SALTO DI RUTELLI. La maledizione della spocchia non ha risparmiato neppure la Capitale. Cinque anni la sfida tra Francesco Rutelli e Gianni Alemanno per il Campidoglio si concluse con la vittoria del secondo. «Il salto nel futuro» del leader dell’Api si ridimensionò, dunque, a un salto nel buio. Un tonfo non solo per lui.
Regista della candidatura di Rutelli fu, infatti, Goffredo Bettini, altro esponente dem cui non manca certo la fiducia in se stesso e nelle proprie strategie. «Rutelli nel primo turno ha staccato nettamente il suo avversario, quindi sono assolutamente fiducioso sul risultato», dichiarò il 18 aprile del 2008. Neppure le sue profezie si son avverate.
A questo punto, tocca farsene una ragione: vale ancora l’anatema lanciato da Nanni Moretti dal palco di piazza Navona il 2 febbraio di 11 anni fa. «Con questa classe dirigente non vinceremo mai»,  insomma, è una specie di sortilegio che ancora nessuno è riuscito a sciogliere.

Paola Alagia

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