Mi chiedo come mai non sia già cominciata
un’opera di beatificazione per sora nostra ministra della giustizia Anna
Maria Cancellieri: di certo lo merita la sua soccorrevole pietas nei confronti
degli oltre 60 mila detenuti italiani la cui condizione, per affermazione
stessa delle massime Autorità (mi raccomando non scordiamoci la maiuscola), è
indegna. Oddio finora questa compassionevole sensibilità si è esercitata solo
sulla miliardaria Giulia Maria Ligresti, datrice di lavoro del figlio della
medesima Cancellieri, Piergiorgio Peluso. E che lavoro: 5 milioni e mezzo in un
anno per mandare definitivamente all’aria Fonsai con grandissima competenza
e abilità. Ma insomma nella vita bisogna pur scegliere.
Ora qualcuno dirà che penso sempre male. E
non è vero: la signora si è data da fare per togliere dal carcere la
miliardaria con opportuna anoressia, mentre i poveracci tra le sbarre hanno sempre
un volgare appetito, sebbene la Giulia Maria, pensasse del figlio della
Cancellieri – per sintetizzare un’intercettazione – che fosse un cretino
inaffidabile e infedele, ma protetto dalla madre. Il testo lo trovate dove volete ma
non c’è dubbio che l’intervento della ministra per ottenere un trattamento di
favore nei confronti della rampolla Ligresti, c’è stato nonostante queste
atroci ferite al cuore di mamma. Una santa, ne tenga conto il parroco di Roma,
tra una telefonata e l’altra alle pecorelle smarrite.
Certo potremmo anche pensare che sia stato un
atto inopportuno, che la Cancellieri abbia approfittato della sua carica per
dare vita all’ennesimo caso di ingiustizia ad personam, che si tratti di
un’inammissibile ingerenza per cui altrove si danno le dimissioni un’ora dopo e
si cerca di scomparire sottoterra, ma anche se così fosse, il tutto è avvenuto
avvenuto sulla scia di un imprintig familiare al quale è difficile sfuggire. E
infatti il Peluso Piergiorgio dopo essere stato liquidato da Fonsai con quei quattro
soldi, è diventato direttore finanziario della Telecom guarda caso poco dopo
che quest’ultima si è vista rinnovare dalla ministra diversi appalti tra cui
quello per la banca del Dna e quello dei braccialetti elettronici che hanno già
avuto la sgradevole attenzione della Corte dei conti. Insomma è come una forma
di irrefrenabile cleptomania.
Del resto la stessa Cancellieri è nata e
vissuta in questa atmosfera: il nonno dopo la vittoriosa guerra libica del 1911
diviene un ras della nuova colonia e addirittura ”commissario ai beni
sequestrati ai berberi”, mentre il padre, sempre in Libia e sotto l’ala
protettrice del regime fascista e in particolare di Italo Balbo, si dedica alla
costruzione di centrali elettriche. Lei sta a Roma andando in Libia solo per le
vacanze, trascorrendo il tempo fra la colonia dei ricchi italiani che sono
rimasti anche dopo la guerra e che sotto re Idris fanno il bello e cattivo
tempo. Tanto che a 19 anni, appena finite le scuole comincia a lavorare, non
alla Standa, ma nientemeno che alla Presidenza del Consiglio. Alzi la mano chi
non ha un figlio a cui sia capitato. Dopo una laurea in Scienze politiche a 29
anni, di cui non sembra siano rimaste tracce, eccola cominciare la carriera
prefettizia in ogni dove d’Italia. A Nomen Homen Cazzullo rivela in
un’intervista: “appartengo, ultima della fila, a una schiera nobilissima.
Uomini che hanno dedicato la vita alla cosa pubblica, che hanno versato il loro
sangue”. Veramente era il sangue dei berberi e i loro beni che non si sa bene che
fine abbiano fatto. Ma certo sono particolari di poco interesse anche in vista
di una beatificazione, certificata pure dal povero Sansonetti ormai evolutosi
da giornalista a caso umano. Ma anche di un vasto ambiente di opportunisti e
difensori dello statu quo ante palesi o segreti.
Comunque sia da tutta questa vicenda emerge
in chiaro scuro, ma evidente, il ruolo dei grand commis dello stato come
cinghia di trasmissione di un’oligarchia di fatto, dell’incesto fra pubblico e
affari privati, come rizoma sulla radice della corruttela, un qualcosa che
permette la rigenerazione delle piante infestanti anche in condizioni
sfavorevoli. Un ceto duttile che come la Cancellieri può dire che la mafia non
esiste ed essere contemporaneamente chiamata da uno poi indagato per mafia, a
gestire (peraltro malissimo) l’emergenza rifiuti in Sicilia che notoriamente è
in mano alla criminalità organizzata. Che gestisce opportunamente le prebende e
sa quali privilegi non toccare, chi aiutare e chi affossare. Un ceto che
dall’alto dei suoi privilegi può disprezzare l’insieme dei cittadini che non
hanno santi in paradiso. Così anche alla Cancellieri con figlio milionario per
grazia di mammà, scappò di dire «noi italiani siamo fermi al posto fisso
nella stessa città di fianco a mamma e papà». La beffa dopo il danno.
ilsimplicissimus
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