Pensare Globale e Agire Locale

PENSARE GLOBALE E AGIRE LOCALE


mercoledì 27 novembre 2013

ITALIA - Silvio Berlusconi, il “Lazzaro” della politica


Dal 1994 a oggi non si contano le volte in cui B è stato dichiarato politicamente morto. Ma alla fine è sempre risorto.

Mercoledì, 27 Novembre 2013 - Probabilmente, in cuor suo, sa che questa volta è davvero finita. Ma non lo dice. Sarebbe un segnale di estrema debolezza. E non ci è abituato. Il 27 novembre, per Silvio Berlusconi, è stato il giorno del giudizio politico. Probabilmente peggio di quello di un’aula di tribunale.
Ma non è la prima volta che viene dato per spacciato. E dal 1994 a oggi il Cavaliere è sopravvissuto a tutto e tutti. Colpi di teatro, giochi di potere, campagne mediatiche martellanti, cambi di strategia repentini. Sono tante le armi che gli hanno permesso di risorgere regolarmente a differenza di quegli avversari che lo davano per finito e invece sono caduti, qualcuno in malo modo.
Siamo sicuri, dunque, che anche dopo la decadenza da senatore, il leader di Forza Italia sarà davvero fuorigioco?
La storia per ora dice che, più è ferito e indebolito, più Berlusconi trova l'energia di rialzarsi e di sparigliare carte in gioco e avversari.

1994: l'avviso di garanzia a Napoli


Il 22 novembre di 19 anni fa, Silvio Berlusconi era presidente del Consiglio da poco più di sei mesi. A Napoli, dove si trovava per presiedere un vertice internazionale sulla criminalità organizzata, al Cavaliere fu notificato un avviso di garanzia: era indagato per tangenti (venne condannato in primo grado a due anni e nove mesi e successivamente assolto). L’esecutivo da lui presieduto cadde il 22 dicembre. Lo stesso giorno il Cav consegnò le dimissioni nelle mani dell’allora presidente della Repubblica, Oscar Luigi Scalfaro.
IL TRADIMENTO DELLA LEGA. Decisivo fu il passo indietro della Lega nord in quello che è storicamente ricordato come il «ribaltone». Berlusconi tuonò: «Non mi siederò mai più a un tavolo in cui ci sia il signor Bossi». Nacque il governo tecnico di Lamberto Dini. Forza Italia decise di non sostenerlo. La carriera politica di Silvio sembrava già al capolinea.
Eppure sotto la cenere qualcosa si muoveva. Alla vigilia del 22 dicembre, la Consulta stabilì l'incostituzionalità della legge Mammì nella parte in cui consentiva a Finivest di possedere tre reti. Rete4 doveva essere venduta o spedita sul satellite. Non un dettaglio, visto che il Cav stava per quotare in Borsa le sue tivù, indebitate fino al collo (si parlò di un debito monstre di 7 mila miliardi di lire). Le banche dopo la caduta del governo avevano infatti chiuso i rubinetti del credito.
IL PRIMO ASSIST DI D'ALEMA. Fu allora che entrò in gioco per la prima volta Massimo D'Alema (un accordo segreto svelato poi da Luciano Violante in Aula nel 2002). Proprio quando il Cav era più debole, abbandonato da Bossi che anzi sosteneva che era «necessario spegnere i ripetitori di Finivest per ricostituzione del partito fascista», i Ds invece di dare la spallata che fecero? Non tradussero in legge, come avrebbero dovuto, la sentenza della Consulta, graziando di fatto il Cav.

1996: i processi All Iberian e la sberla di Prodi


Alle elezioni del 1996 la coalizione guidata da Berlusconi venne sconfitta dall’Ulivo di Romano Prodi. Intanto continuarono i guai giudiziari del Cavaliere, che il 12 luglio del 1996 fu rinviato a giudizio insieme con Bettino Craxi per finanziamento illecito: 10 miliardi di lire sarebbero transitati dalla Fininvest al Psi attraverso la società All Iberian.
Non era certo un bel momento per il Cav: indagato a Milano per corruzione giudiziaria e corruzione semplice, a Palermo per mafia e riciclaggio (indagini che furono archiviate) e addirittura indagato a Firenze come possibile complice delle stragi del 93 con Marcello Dell’Utri.
L'IDEA DELLA BICAMERALE. Ma anche in questo caso, nonostante la vittoria di Prodi, il Cav si rialzò. Grazie alla stampella di D'Alema. E alla bicamerale per le riforme. L’accordo venne stretto nel luglio del 96, poco tempo dopo l'insediamento dell'esecutivo del Professore bolognese. Caso vuole che lo stesso giorno approvata una legge che prorogava l'esistenza delle tre reti della Fininvest. Insomma, il principio Antitrust deciso dalla Consulta anni prima era valido sì, ma doveva essere applicato da un'Autorità garante per le comunicazioni. Che «entrerà in funzione solo quando ci sarà stato un congruo sviluppo tecnologico delle televisioni». Un principio di dubbia interpretazione.
LA VITTORIA NEL 2001. Nel frattempo, all’inizio del 1997, Berlusconi fu rinviato a giudizio con la medesima accusa per l’acquisto di Medusa: condannato in primo grado, fu assolto in appello a Milano. Nel luglio 1998 il Daily Telegraph scrisse: «Le sentenze macchieranno inevitabilmente la credibilità di leader politico di Berlusconi».
Non è stato così. Berlusconi vinse infatti la tornata elettorale del 2001, anche grazie alla rinsaldata alleanza con la Lega, che in passato gli aveva dato del «mafioso di Arcore». Celebre fu il coup de théâtre a Porta a porta, dove firmò l'ormai celebre patto con gli Italiani.
Alla fine anche le accuse giudiziarie finirono nel nulla: il processo All Iberian si concluse il 22 novembre 2000 - in primo grado Berlusconi era stato condannato a due anni e quattro mesi - quando la Cassazione confermò la sentenza d’appello del 26 ottobre 1999 dichiarando il proscioglimento del Cav per intervenuta prescrizione. Il secondo filone della vicenda (All Iberian II), che vedeva l’ex premier rinviato a giudizio per falso in bilancio, si concluse nel 2005 con l’assoluzione dell’imputato: il fatto non era più previsto dalla legge come reato perché nell’aprile 2002 il parlamento di fatto depenalizzò il falso in bilancio.

2009: le Papi girl e gli scandali sessuali


Berlusconi arrivò a fine legislatura logorato. Fece segnare il record di durata di un esecutivo nella storia della Repubblica italiana (1.409 giorni) ma i dissapori interni alla sua maggioranza, la situazione precaria dell'economia del Paese e le critiche sempre più pesanti dall'estero portarno il centrodestra a collezionare una serie di sconfitte elettorali alle amministrative locali e regionali. Romano Prodi, leader dell'Ulivo, sembrava destinato a un facile trionfo alle Politiche del 2006. Dato per spacciato dai sondaggi, nelle ultime settimane di campagna elettorare il Cav cominciò una assedio mediatico furibondo, inziando una risalita per molti impossibile, recuperando il terreno perduto nei confronti del centrosinistra. L'ultimo colpo a sorpresa, durante il confronto televisivo con il Professore, fu la promessa di togliere l'Ici.
IL PAREGGIO INSPERATO NEL 2006. Le urne decretarono la vittoria della coalizione di centrosinistra, ma la Casa delle libertà recuperò terreno arrivando quasi al pareggio in Senato. I fragili equilibri della coalizione di governo portarono, nel gennaio 2008, alla caduta dell’esecutivo.
Ad aprile si tornò a votare e Berlusconi, a capo del Pdl (nato dalla fusione tra Forza Italia e Alleanza nazionale voluta dopo la nasciata del Pd per opera di Walter Veltroni), sedette di nuovo a Palazzo Chigi.
Era il governo del Lodo Alfano e del legittimo impedimento. Dei casi Cosentino, Brancher e Papa. Della “cacciata” di Gianfranca Fini. Degli scandali sessuali.
«IL CIARPAME SENZA PUDORE». Il 28 aprile 2009, in una dichiarazione all’agenzia Ansa, l'allora first lady Veronica Lario definì il Cavaliere «un uomo malato» che «frequenta le minorenni». Circondato da «un ciarpame senza pudore».
Pochi giorni dopo, in seguito alla partecipazione del Cavaliere alla festa di compleanno di Noemi Letizia (la 18enne napoletana che chiamava Berlusconi «papi»), Veronica chiese il divorzio.
Da lì in poi è stata un’escalation. Prima Patrizia D’Addario, poi Ruby Rubacuori, «la nipote di Mubarak». Le notti di Arcore. Nicole Minetti. Il Bunga bunga.
LE DIMISSIONI IL 12 NOVEMBRE. «L’utilizzatore finale» (a giungo 2013, nell’ambito del processo Ruby, Berlusconi è stato condannato in primo grado a sette anni per concussione e prostituzione minorile). In parlamento la situazione precipitò e nel Paese la situazione economica era allo stallo, nella morsa delle recessione. Ad agosto 2011 la Bce inviò una lettera al governo in cui indicava una serie di misure urgenti per uscire dalla crisi. Il Cavaliere, stretto nella morsa dello spread, lasciò il 12 novembre. Quattro giorni dopo nacque il governo Monti. «È la fine di un’era», si disse e si scrisse. In piazza si festeggiava con lo spumante. Ma il Caimano era ancora vivo.

2013: la condanna definitiva al processo Mediaset


Quello presieduto dal Professore bocconiano era visto da molti come «il governo delle tasse». Berlusconi sostenne Monti e il 24 ottobre 2012 annunciò l’intenzione di non volersi ricandidare alla premiership. «È politicamente morto», sentenziarono in molti. Il partito venne messo nelle mani del suo delfino, Angelino Alfano.
L'ENNESIMA DISCESA IN CAMPO. Poi, il 6 dicembre, la capriola: «Scendo in campo per vincere». Lo stesso giorno il Pdl lasciò la maggioranza. Dopo l’approvazione della legge di Stabilità Monti si dimise.
Si tornò al voto, con il Pd davanti al Pdl nei sondaggi. Pier Luigi Bersani  era sicuro della vittoria: «Smacchieremo il giaguaro». «Berlusconi sa che non riuscirà più a riconquistare Palazzo Chigi, la sua carriera politica è finita», scriveva il tedesco Der Spiegel.
LA RISCOSSA ALLE URNE. Alle urne, complice le promesse del Cav, l’ottimo risultato del M5s e i voti raccolti dal centro di Monti, Pdl e Pd pareggiarono. «Miracolo Berlusconi», titolò Il Giornale il giorno dopo le elezioni. E Libero: «Il leone Silvio sbrana il giaguaro».
Fu il fallimento di Bersani, che tentò invano di formare un governo. Spazio alle larghe intese. Il Popolo della Libertà occupò cinque ministeri dell’esecutivo presieduto da Enrico Letta. A giugno, Berlusconi annunciò l’intenzione di ridare vita a Forza Italia.
LA CONDANNA MEDIASET. Il primo agosto arrivò però la doccia gelata. Dopo l’intervenuta prescrizione per il processo Mills (febbraio 2012), il Cav fu condannato per la prima volta in via definitiva: quattro anni per frode fiscale e falso in bilancio nel cosiddetto processo Mediaset. La legge Severino, votata anche dal Pdl, prevede l’incandidabilità per chi ha riportato condanne definitive a pene superiori a due anni.
IL GIORNO DEL GIUDIZIO. Per i berluscones la norma non doveva essere retroattiva. Berlusconi parlò di «colpo di Stato» e il 26 novembre Forza Italia è uscita dalla maggioranza. Tutto inutile.
Alle 19 di mercoledì 27, in Senato, si è votata la sua decadenza da senatore. Forse questa volta è davvero la fine. Forse.

Giorgio Velardi

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