Cinque anni di crisi hanno segnato
l'Unione, aumentando la sfiducia tra gli stati membri. Più che misure
economiche servono un ritorno alla politica e un gruppo dirigente più
autorevole.
Claudi Pérez EL PAIS Madrid
La tempesta
finanziaria ha profondamente segnato l'anima europea. Una brutta cicatrice
attraversa il continente da nord a sud. I vecchi e i nuovi stereotipi non
mancano: le bugie greche, la delirante esuberanza spagnola, la temerarietà
irlandese, l'egoista egemonia tedesca. Di fronte a questo dialogo da sordi fra
creditori e debitori, ci si rende però conto che tutta la zona euro condivide
lo stesso destino.
Con il tempo le
certezze sono venute meno e i tabù sono stati violati, abbiamo superato i
limiti che ci eravamo imposti e abbiamo riscritto le regole auree in una serie
di decisioni affrettate. Questa serie di misure ha permesso di evitare il
peggio, anche se oggi ci ritroviamo in mezzo alle loro numerose conseguenze
imprevedibili.
Così terminano cinque
anni di crisi, con l'impressione che non ci sia mai stato un vero progetto per
affrontarla. Bisogna adesso impegnarsi nella seconda rifondazione dell'Unione
(dopo il periodo fondatore degli anni cinquanta e dopo la prima transizione,
che ha portato alla caduta del Muro, alla creazione dell'euro ed è culminata
nell'adesione del blocco dell'Europa orientale).
L'ossessione dei
vertici di questi ultimi anni ha portato a un clima di rigore generalizzato.
Nessuno rimette in discussione questa strategia, anche se alcuni ammettono
degli errori di diagnosi in alcuni paese e una reazione eccessiva da parte di
tutti, imputabile alla gravità della crisi del debito nel 2010. Bruxelles ha
corretto il tiro, ma la realtà vuole che solo la Germania abbia ritrovato un
pil ai livelli di prima della crisi.
Nella battaglia
l'Europa ha progressivamente perso gli europei: i responsabili sono preoccupati
di fronte alla crescente delusione nei confronti dell'Europa a sei mesi dalle
elezioni. All'avvicinarsi di questo appuntamento il 60 per cento degli europei
dice di non avere fiducia nell'Ue contro il 31 per cento di prima della crisi,
stando agli ultimi dati di
Eurobarometro.
L'Unione era e rimane
una sorta di spedizione verso l'ignoto. Non abbiamo mai avuto una carta per
decifrare i labirinti di quella nebulosa che si chiama Bruxelles. Di fronte a
questa lotta eterna fra quello che è possibile e quello che è auspicabile, l'Ue
deve trovare una via intermedia fra chi pensa che il disordine porterà allo
stato federale (creando così gli improbabili Stati Uniti d'Europa) e chi invece
punta a una versione europea di Apocalypse Now di Francis Coppola su colonna
sonora di Wagner.
"È probabile che
non vi sarà ne un passaggio a uno stato federale né uno smembramento. Questa
seconda transizione comincerà e sarà accompagnata da inevitabili delusioni,
come l'eterna promessa dell'ipotetico ritorno della grande politica", dice
Luuk Van Middelaar, una delle voci più interessanti di Bruxelles. Si tratta
dell'autore dell'indispensabile Il
passaggio all'Europa e dei discorsi di Herman Van Rompuy. Van
Middelaar definisce l'Unione come "uno stato di transizione
permanente". "È importante riconquistare rapidamente la fiducia della
popolazione, cosa che è impossibile senza un vero progetto globale e senza una
leadership", ripete l'autore.
L'analista Moisés
Naím è dello stesso parere: "Né le istituzioni europee né i dirigenti
politici nazionali hanno oggi il potere sufficiente per riuscirci. […] L'Europa
era forte quando i suoi dirigenti erano forti. La situazione attuale – Barroso,
Ashton, Van Rompuy e così via – non basta più".
Il mondo non è in
crisi, ma l'Europa sì. I problemi non sono economici – o quanto meno non solo –
ma piuttosto politici e istituzionali. Si tratta soprattutto di una crisi di
governance. Si assiste inoltre a una sorta di rivincita della storia, della
demografia e della geografia. Questi cambiamenti si inseriscono nel quadro di
un movimento tellurico che sposta il centro del mondo in direzione del
Pacifico.
Vizi privati
Al di là della
politica o piuttosto proprio per la sua assenza, il futuro è diffuso. André
Sapir, che lavoro al centro di riflessione Bruegel, osserva che l'obiettivo
principale della zona euro nel corso dei prossimi cinque anni sarà proprio
quella di riuscire a uscire da questa situazione: "Quello che preoccupa è
che delle decisioni sono state prese senza alcun consenso sulla natura o sulle
cause della crisi. E per questo possiamo solo aspirare a uscire da questa
situazione".
Daron Acemoglu,
autore di un libro fondamentali di questi ultimi tempi – Why Nations Fail [Perché
le nazioni falliscono] – è tra coloro per cui questa seconda rifondazione
dell'Unione "è già cominciata". In un'intervista a El País, Acemoglu
parla di due rivoluzioni fra le ultime novità europee: l'unione bancaria e gli
esami preventivi dei bilanci nazionali. In particolare l'unione bancaria assomiglia
a una metamorfosi, a un cambiamento della natura stessa dell'Europa.
Il club dell'euro è
sempre stato ossessionato dai vizi pubblici e dall'inflazione, una sorta di
eredità della storia tedesca. L'euro si è dotato di meccanismi di controllo del
settore pubblico (la cui credibilità è piuttosto dubbia, come si è visto a
Maastricht). Tuttavia si pensava che i mercati si sarebbero autoregolati e che
i vizi del settore privato si sarebbero corretti da soli. In altre parole non
sarebbe stato necessario prestarvi attenzione. La crisi però ha mostrato
l'inesattezza di questa tesi: "Se l'unione bancaria non ridurrà le sue
ambizioni, l'Europa vivrà un cambiamento radicale che potrebbe aiutarla a
correggere i suoi squilibri", prevede Acemoglu.
In fin dei conti se
non ci saranno ulteriori problemi l'Europa comincerà ben presto a risvegliarsi.
In questo contesto il ruolo della Bce in quanto organo di regolazione bancaria
è fondamentale. "Bisogna continuare a risanare le finanze pubbliche e a
riformare, ma con l'unione bancaria l'Europa apre la porta ad altre forme di
vulnerabilità. Per la Bce sarà una vera e propria immersione nella realtà, una
caduta dall'Olimpo", conclude una fonte a Bruxelles. (Traduzione di Andrea De Ritis)
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