Pensare Globale e Agire Locale

PENSARE GLOBALE E AGIRE LOCALE


mercoledì 19 febbraio 2014

VENEZUELA - Venezuela, Lopez leader della protesta anti-governativa


Laureato in Economia. È il volto dell'opposizione più dura. Che ha sfidato Maduro in piazza. Ma s’è arreso alla polizia.

Mercoledì, 19 Febbraio 2014 - Se ha ragione Reinaldo Dos Santos, considerato un gran veggente in Venezuela, Leopoldo Lopéz «è un predestinato e un giorno sarà presidente»: «Perché discende da Simon Bolivar, poi perché ha un cervello brillante e una voce differente», è la sua tesi.
Scuote la testa José, che invece è un giovane manager di una grande azienda vicino al grande centro commerciale di San Ignacio, quartiere bene di Caracas e con simpatie per l'opposizione: «Tutti sanno che Lopéz è showsero y fanfaron, uno che ama dar spettacolo e spararla grossa, e di sicuro aveva capito che convocando la marcia del 12 febbraio davanti alla procura generale potesse succedere quello che poi è successo».
LOPÉZ SPACCA IL PAESE. Lopéz è così. Amato e detestato. Di sicuro è il più odiato dal governo, che lo taccia di essere un fascista, un golpista, al soldo degli Stati Uniti e in combutta con la destra colombiana.
Lui, come sempre, non si sottrae allo scontro. Anzi, ogni volta rilancia. E così, inseguito da un mandato di cattura con l'accusa di aver ispirato gli scontri di metà febbraio, Lopéz ha convocato una nuova marcia per martedì 18 febbraio: «Tutti vestiti di bianco, pacificamente, pronti a isolare gli infiltrati», dal quartiere bene di Chacaìto fino al ministero degli Interni. Salvo poi consegnarsi alle autorità, spiegando: «Mi consegno a una giustizia ingiusta e corrotta, che viola la Costituzione e le leggi». Quindi ha aggiunto: «Se andare in prigione può servire a svegliare nel popolo la volontà di cambiamento verso pace e democrazia, allora ne sarà valsa la pena».
LEADER DELL'OPPOSIZIONE. Quarantatrenne, di ricca famiglia caraqueña, laureato in economia ad Harvard, per due mandati sindaco del municipio di Chacao, è stato interdetto dagli uffici pubblici con l'accusa di aver ricevuto fondi neri dalla società petrolifera Pdvsa alla fine della IV Repubblica, quando la madre era un'importante manager.
I fondi sarebbero serviti per fondare il suo partito Voluntad popular, che nelle ultime elezioni amministrative ha avuto un gran successo e che rappresenta l'ala più dura dell'opposizione venezuelana.
Lopéz è di fatto il numero due della coalizione Mesa de unidad popular, dietro a Henrique Capriles, il candidato alla presidenza che nel 2012 è stato battuto da Hugo Chavez e pure nel 2013 (ma per un soffio) dal delfino del Caudillo Nicolas Maduro.

Gli anti-Maduro sono spaccati nella lotta al governo


È ormai evidente come Lopéz e Capriles abbiano due strategie inconciliabili. Entrambi pensano che il sostegno al chavismo stia franando sotto i colpi della crisi economica, dell'inflazione fuori controllo, del collasso del sistema di distribuzione commerciale. Ma divergono sul come isolare il regime.
Lopéz e con lui l'altra esponente politica simbolo dell'opposizione dura, Maria Corina Machado, scommettono sulla salida, una spallata al governo grazie a grandi e continue manifestazioni popolari, alzando i toni e pagando il prezzo degli scontri.
Per Capriles «convocare marce, senza obiettivi chiari e non sui problemi di tutti i giorni, rafforza il governo», ha detto domenica 16 febbraio durante un'affollata conferenza stampa trasmessa via web, «si dovrebbe invece parlare a tutti quei settori delusi dal governo e dal chavismo: lì possiamo vincere».
I MILITANTI SONO DISILLUSI. Non è difficile incontrare in Venezuela militanti disillusi.
Mariana, una giovane funzionaria pubblica, «chavista da sempre», pensa che «qui hanno perso la testa e manipolato l'eredità di Chavez e in più sono incapaci di dirigere uno Stato: «È ovvio che la gente scenda in strada, perché pensa che senza una san pablera dura, uno scontro forte, questi non capiranno mai».
Ma Capriles avverte anche i suoi compagni oppositori: «Non sono disposto a mettere in pericolo la vita dei venezuelani».
GIÀ TRE MORTI E MOLTI FERITI. La vita infatti ce l'hanno lasciata tre uomini e decine sono stati i feriti, oltre a un centinaio di arrestati. Tutti puntano il dito sugli infiltrati, per primi gli studenti che «si sono trovati a fare da carne da cannone per la vanità e il cinismo di tutti i politici, del governo e dell'opposizione», racconta Fernando, da sempre di simpatie chaviste.
Chi siano questi infiltrati nessuno lo sa di certo, ma tutti hanno un'idea. Sono gruppi di motorizados, i tanti che scorribandano in motocicletta e sono i padroni delle strade di Caracas.
Per il governo sono «bande organizzate dall'opposizione, come nel 2002,», l'anno del golpe che Lopéz non a caso sostenne, cosa che gli viene rinfacciata in questi giorni a pié sospinto. Per l'opposizione vengono dai colectivos, i gruppi radicali chavisti dei quartieri più politicizzati. Chiunque siano, tutti sono armati di pistole e dal grilletto facile.
IL PAESE È VICINO AL CAOS. Ma che qualcosa sia andato storto nella gestione dell'ordine pubblico, come denunciato dalle organizzazioni studentesche e da molte Ong, lo testimonia la decisione presa da Maduro di sostituire i vertici del Sebin, i servizi di sicurezza. Decisione che ha suscitato molto scalpore, ma dovuta - si dice a Palacio Miraflores - perché «il 12 febbraio non sono stati rispettati gli ordini di stare chiusi nelle caserme». In tante foto uomini armati dei servizi giravano nelle strade assediate e troppo vicini agli scontri.
Intanto una grande tensione sta scuotendo tutto il Paese. Mentre in piazza cresce la rabbia tra la manifestazione dei lavoratori del settore petrolifero e la protesta a Chacaito con migliaia di persone vestite di bianco.

Fabio Bozzato

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