Il
presidente venezuelano non è stato consegnato alla dimensione del ricordo, ma
continua ad essere protagonista durante le giornate di protesta: i suoi video,
i suoi discorsi alimentano il mito della rivoluzione.
Un anno dopo la morte di Chavez, la notizia è che il comandante non è morto. Non è stato
consegnato alla dimensione del ricordo, ma continua ad essere protagonista
durante le giornate di protesta: i suoi video, i suoi discorsi alimentano il
mito della rivoluzione, riproposti in tv perché la sua immagine continua ad
essere il motore della rivoluzione. Fallita.
Chávez era l’incarnazione
di Bolivar,
il nuovo Bolivar
adesso è diventato lui, almeno per il presidente Maduro, sindacalista
miracolato dal comandante, e trasformato da semplice autista di autobus nel
presidente di una Repubblica “non di banane”.
Perché spesso si dimentica che il Venezuela è
stata un’eccezione positiva nell’America Latina. Negli anni ’70 ovunque c’erano
dittature, in Venezuela la democrazia, e la moneta negli anni ’50 e ’60 arrivò
ad essere più forte e più sicura del dollaro. Ora la storia sembra si sia
rovesciata.
La rivoluzione, privata della sua retorica
pauperistica che piace molto agli europei, ha fatto emergere una realtà poco
entusiasmante per chi in Venezuela ci vive: il paese è governato da una cricca
politico-militare che ha reso il paese il più corrotto in America Latina, con
il tasso d’inflazione più alto del mondo, oltre il 50%, e una criminalità
diffusa che non accenna a diminuire. La magistratura è sotto stretto controllo
dell’esecutivo, come anche il Banco centrale, e il Consiglio nazionale
Elettorale. L’elenco potrebbe continuare all’infinito, perché tutte le
istituzioni sono state occupate dal partito socialista, includendo molte
imprese di stato (tra cui l’industria del petrolio).
All’opposizione, che pure rappresenta il 49 % degli elettori, non è mai stato concesso nulla.
All’opposizione, che pure rappresenta il 49 % degli elettori, non è mai stato concesso nulla.
Tirannia totale della maggioranza. Ma la
gente perché vota ancora per il partito socialista? Per le stesse ragioni per
cui per 70 anni in Messico hanno votato il PRI: ne sono legati da una
dipendenza economica. Dal potere politico dipendono aiuti, programmi sociali, e
posti di lavoro, un voto necessario più che ideologico, anche se anche nei
barrios l’appoggio alla rivoluzione è ai minimi storici, e il trend è negativo:
troppo evidenti corruzione, criminalità e sfacelo economico.
In carcere non finiscono mai esponenti del governo, che pure gestiscono risorse e istituzioni, ma sempre oppositori. Leopoldo Lopez è in gattabuia, Manuel Rosales è stato costretto a chiedere asilo politico in Perù, il generale Baduel, dopo essersi schierato contro Chávez, è finito anche lui in carcere.
In carcere non finiscono mai esponenti del governo, che pure gestiscono risorse e istituzioni, ma sempre oppositori. Leopoldo Lopez è in gattabuia, Manuel Rosales è stato costretto a chiedere asilo politico in Perù, il generale Baduel, dopo essersi schierato contro Chávez, è finito anche lui in carcere.
Quando c’era Chávez, almeno c’era la sensazione che il
paese avesse una leadership continentale, ora neanche questo. E non si vede una
via d’uscita.
Piero
Armenti
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