Il
centrosinistra ha vinto le elezioni. Quasi un ossimoro più che una frase.
Eppure, dopo venti anni vissuti sotto il giogo dell’enorme talento comunicativo
di Silvio Berlusconi, la sinistra italiana si è ritrovata una sera di maggio
davanti al più clamoroso dei successi elettorali. Le proiezioni che venivano
trasmesse dalle televisioni proponevano percentuali sconosciute al
centrosinistra degli ultimi anni, per non parlare del PD, che solo un anno fa
rimaneva ancorato al 25%.
ANNI DI RITARDO Il centrosinistra
arriva a questo traguardo con almeno otto anni di ritardo, e con due occasioni, straordinarie,
gettate al vento. Per risolverlo sarebbe bastato poco, sarebbe bastato che
alcuni dirigenti del centrosinistra, non si imbullonassero alle loro poltrone con la
stessa caparbietà con cui Gattuso inseguiva gli avversari. È stato il loro
enorme egosimo, unito alla loro incapacità di guardare la realtà, a far
rimanere inchiodato questo paese nelle fauci del berlusconismo per un decennio
in più. Perché la verità è che i “vecchi” di uno schieramento tenevano in piedi
i “vecchi” protagonisti dell’altro. Frenando il naturale ricambio delle
leadership su entrambi i versanti del bipolarismo italiano
IL PRODI BIS - Parte tutto
dalla legislatura 2001-06, quella con Berlusconi al governo e il centrosinistra
all’opposizione. E’ in quel periodo che Ds e Margherita avrebbero dovuto
lasciare il posto al nuovo soggetto politico, il Partito Democratico. Invece,
come spesso accadde in quegli anni, è l’immobilismo a vincere. Non si toccò
nulla affinché consolidate posizione di vertice non perdessero potere. Il
centrosinistra era inchiodato ai suoi mantra autorefernziali.
L’incapacità di
visione dei dirigenti di allora, unita a lotte di corrente e veti incrociati,
impedirono al centrosinistra di guardare avanti. Tanto che nel 2006 per cercare
di battere Berlusconi si tornò a chiamare Romano Prodi, già candidato premier
con l’Ulivo nel 1996.
Fu la certificazione
del nulla costruito in dieci anni. Dopo due lustri si tornava a chiamare Prodi
per battere Berlusconi. Con tutto il rispetto per il professore, fu un errore.
Un tentativo di rincorsa del passato che, dopo una vittoria striminzita,
costringerà l’Unione ad un governo che subito dimostrò di non poter reggere a
lungo. La situazione era talmente difficile per l’esecutivo che si decise,
anticipandone i tempi, di far nascere il Partito Democratico nel 2007 invece
che alle Europee del 2009.
NASCE IL PD, IN
RITARDO
Ecco, fondare il partito Democratico durante il periodo di opposizione e
chiamare già allora Walter Veltroni ad esserne il leader alle elezioni del 2006
avrebbe probabilmente risparmiato agli italiani quel pareggio e la successiva
sconfitta del 2008. Questo fu il primo errore la prima occasione persa.
La seconda occasione
persa, ovviamente, è quella del 2013. Un rigore a porta vuota che l’allora
gruppo dirigente, guidato da PierLuigi
Bersani, calciò sul palo.
Nel 2012 tutti uniti
i “big” del Pd da Massimo D’Alema a Beppe Fioroni, passando per Rosi Bindi e
Piero Fassino, fecero la guerra al “giovane” Matteo Renzi. Verso il quale si
disse di tutto, dandogli del “liberista” o del “blairiano” nel migliore dei
casi.
LE PRIMARIE RENZI
BERSANI
Certo non avremo mai la controprova che con Renzi alla guida del Pd le cose lo scorso
anno sarebbero andate differentemente, ma dopo la clamorosa notte del 25
maggio, il sospetto è più che lecito. E’ ovviamente un ragionamento che lascia
il tempo che trova anche perché Bersani quelle primarie le vinse in maniera
netta, distanziando di circa 20 punti l’avversario.
Insomma, per almeno
dieci anni i vari D’Alema, Bindi, Fioroni, Franceschini, e compagnia cantando
hanno impedito con ogni mezzo che si concretizzasse un normale avvicendamento
dei vertici della coalizione. Non riuscivano, nella miopia della loro analisi,
a viversi come parte delle difficoltà del centrosinistra.
E ancora ieri,
purtroppo, li abbiamo visti tornare a fare capolino, per dire che «senza un
partito non si arriva al 40%». Quasi in fila davanti alla migliori penne del giornalismo
italiano. Prima Veltroni, oggi Bersani, ieri il leader Maximo.
MASSIMO D’ALEMA Per questo motivo si
rimane increduli davanti al coraggio di Massimo D’Alema, l’architetto di tutte
le più cocenti sconfitte del centrosinitra, che, un giorno dopo la vittoria del
nuovo gruppo dirigente del Pd, torna ad affacciarsi sui giornali per dare lezioni di
“generosità” in merito alla leadership del centrodestra
La destra in italia
c’è”, ma “questa destra vive una grave crisi di leadership ed è evidente che la
vera generosità di Berlusconi sarebbe quella di fare un passo indietro e
lasciare il campo a una nuova leadership. Le leadership passano e quando un
uomo non è in grado di lasciare spazio a nuova generazione si dimostra
ingeneroso
Eppure, vogliamo
ricordare a Massimo D’Alema, che basta riavvolgere il nastro di poche settimane per
sentirgli descrivere Matteo Renzi, reo di volerlo “pensionare”, come
“Superficiale, mentitore e ignorante”.
E probabilmente non è
un un caso se, camminando su gambe diverse, fresche e giovani, il Pd ha vissuto
la vittoria più importante della propria storia. Se si tratta solo di una
rondine, o di una nuova primavera lo vedremo nei prossimi anni, ma questo è un
altro discorso, che riguarderà il giudizio sulla nuova generazione ora sul
ponte di comando del vascello democratico.
(MarcoEsposito)
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