Pensare Globale e Agire Locale

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sabato 7 giugno 2014

ITALIA - Ci hanno fatto perdere venti anni


Il centrosinistra ha vinto le elezioni. Quasi un ossimoro più che una frase. Eppure, dopo venti anni vissuti sotto il giogo dell’enorme talento comunicativo di Silvio Berlusconi, la sinistra italiana si è ritrovata una sera di maggio davanti al più clamoroso dei successi elettorali. Le proiezioni che venivano trasmesse dalle televisioni proponevano percentuali sconosciute al centrosinistra degli ultimi anni, per non parlare del PD, che solo un anno fa rimaneva ancorato al 25%.

ANNI DI RITARDO Il centrosinistra arriva a questo traguardo con almeno otto anni di ritardo, e con due occasioni, straordinarie, gettate al vento. Per risolverlo sarebbe bastato poco, sarebbe bastato che alcuni dirigenti del centrosinistra, non si imbullonassero alle loro poltrone con la stessa caparbietà con cui Gattuso inseguiva gli avversari. È stato il loro enorme egosimo, unito alla loro incapacità di guardare la realtà, a far rimanere inchiodato questo paese nelle fauci del berlusconismo per un decennio in più. Perché la verità è che i “vecchi” di uno schieramento tenevano in piedi i “vecchi” protagonisti dell’altro. Frenando il naturale ricambio delle leadership su entrambi i versanti del bipolarismo italiano

IL PRODI BIS - Parte tutto dalla legislatura 2001-06, quella con Berlusconi al governo e il centrosinistra all’opposizione. E’ in quel periodo che Ds e Margherita avrebbero dovuto lasciare il posto al nuovo soggetto politico, il Partito Democratico. Invece, come spesso accadde in quegli anni, è l’immobilismo a vincere. Non si toccò nulla affinché consolidate posizione di vertice non perdessero potere. Il centrosinistra era inchiodato ai suoi mantra autorefernziali.

L’incapacità di visione dei dirigenti di allora, unita a lotte di corrente e veti incrociati, impedirono al centrosinistra di guardare avanti. Tanto che nel 2006 per cercare di battere Berlusconi si tornò a chiamare Romano Prodi, già candidato premier con l’Ulivo nel 1996.

Fu la certificazione del nulla costruito in dieci anni. Dopo due lustri si tornava a chiamare Prodi per battere Berlusconi. Con tutto il rispetto per il professore, fu un errore. Un tentativo di rincorsa del passato che, dopo una vittoria striminzita, costringerà l’Unione ad un governo che subito dimostrò di non poter reggere a lungo. La situazione era talmente difficile per l’esecutivo che si decise, anticipandone i tempi, di far nascere il Partito Democratico nel 2007 invece che alle Europee del 2009.

NASCE IL PD, IN RITARDO Ecco, fondare il partito Democratico durante il periodo di opposizione e chiamare già allora Walter Veltroni ad esserne il leader alle elezioni del 2006 avrebbe probabilmente risparmiato agli italiani quel pareggio e la successiva sconfitta del 2008. Questo fu il primo errore  la prima occasione persa.

La seconda occasione persa, ovviamente, è quella del 2013. Un rigore a porta vuota che l’allora gruppo dirigente, guidato da PierLuigi Bersani, calciò sul palo.

Nel 2012 tutti uniti i “big” del Pd da Massimo D’Alema a Beppe Fioroni, passando per Rosi Bindi e Piero Fassino, fecero la guerra al “giovane” Matteo Renzi. Verso il quale si disse di tutto, dandogli del “liberista” o del “blairiano” nel migliore dei casi.

LE PRIMARIE RENZI BERSANI Certo non avremo mai la controprova che con Renzi alla guida del Pd le cose lo scorso anno sarebbero andate differentemente, ma dopo la clamorosa notte del 25 maggio, il sospetto è più che lecito. E’ ovviamente un ragionamento che lascia il tempo che trova anche perché Bersani quelle primarie le vinse in maniera netta, distanziando di circa 20 punti l’avversario.

Insomma, per almeno dieci anni i vari D’Alema, Bindi, Fioroni, Franceschini, e compagnia cantando hanno impedito con ogni mezzo che si concretizzasse un normale avvicendamento dei vertici della coalizione. Non riuscivano, nella miopia della loro analisi, a viversi come parte delle difficoltà del centrosinistra.

E ancora ieri, purtroppo, li abbiamo visti tornare a fare capolino, per dire che «senza un partito non si arriva al 40%». Quasi in fila davanti alla migliori penne del giornalismo italiano. Prima Veltroni, oggi Bersani, ieri il leader Maximo.

MASSIMO D’ALEMA Per questo motivo si rimane increduli davanti al coraggio di Massimo D’Alema, l’architetto di tutte le più cocenti sconfitte del centrosinitra, che, un giorno dopo la vittoria del nuovo gruppo dirigente del Pd, torna ad affacciarsi sui giornali per dare lezioni di “generosità” in merito alla leadership del centrodestra

La destra in italia c’è”, ma “questa destra vive una grave crisi di leadership ed è evidente che la vera generosità di Berlusconi sarebbe quella di fare un passo indietro e lasciare il campo a una nuova leadership. Le leadership passano e quando un uomo non è in grado di lasciare spazio a nuova generazione si dimostra ingeneroso

Eppure, vogliamo ricordare a Massimo D’Alema, che basta riavvolgere il nastro di poche settimane per sentirgli descrivere Matteo Renzi, reo di volerlo “pensionare”, come “Superficiale, mentitore e ignorante”.

E probabilmente non è un un caso se, camminando su gambe diverse, fresche e giovani, il Pd ha vissuto la vittoria più importante della propria storia. Se si tratta solo di una rondine, o di una nuova primavera lo vedremo nei prossimi anni, ma questo è un altro discorso, che riguarderà il giudizio sulla nuova generazione ora sul ponte di comando del vascello democratico.

(MarcoEsposito)

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