In attesa che il
governo e il premier cancellino le ambiguità di chi rilascia dichiarazioni a
effetto da oltre un mese, senza però intervenire a livello normativo, il doppio
caso Expo-MOSE fa
venire in mente un altro genere di incoerenza che l'esecutivo si trascina fin
dalla nascita.
Come avevamo scritto lo scorso 1°marzo, pochi giorni dopo la presentazione della squadra di governo, le scelte di Renzi sul Ministero delle Infrastrutture avevano sorpreso in negativo, trasformando il dicastero in questione in quello degli impresentabili. Oltre al titolare Maurizio Lupi, indagato per concorso in abuso d'ufficio e confermato in continuità con Letta, il premier aveva piazzato Umberto Del Basso De Caro (indagato per peculato, inchiesta spese pazze nella Regione Campania), Riccardo Nencini (condannato dalla Corte di Giustizia Ue a restituire "455mila euro di spese di viaggio e di assistenza di segreteria indebitamente accreditate" a Bruxelles durante il periodo 1994-1999, in cui Nencini era europarlamentare) e Antonio Gentile, poi dimissionario, finito nell'occhio del ciclone per le pressioni operate su un giornale locale in Calabria, allo scopo di non far pubblicare la notizia dell'indagine in corso sul figlio Andrea.
Come avevamo scritto lo scorso 1°marzo, pochi giorni dopo la presentazione della squadra di governo, le scelte di Renzi sul Ministero delle Infrastrutture avevano sorpreso in negativo, trasformando il dicastero in questione in quello degli impresentabili. Oltre al titolare Maurizio Lupi, indagato per concorso in abuso d'ufficio e confermato in continuità con Letta, il premier aveva piazzato Umberto Del Basso De Caro (indagato per peculato, inchiesta spese pazze nella Regione Campania), Riccardo Nencini (condannato dalla Corte di Giustizia Ue a restituire "455mila euro di spese di viaggio e di assistenza di segreteria indebitamente accreditate" a Bruxelles durante il periodo 1994-1999, in cui Nencini era europarlamentare) e Antonio Gentile, poi dimissionario, finito nell'occhio del ciclone per le pressioni operate su un giornale locale in Calabria, allo scopo di non far pubblicare la notizia dell'indagine in corso sul figlio Andrea.
Ma pochi
giorni prima, il 21 febbraio, era stato evidenziato come il posto di Capo
struttura tecnica di Missione del Ministero (che ha il compito di
coordinare le Grandi Opere) fosse in mano ad un indagato per associazione a
delinquere. Il suo nome è Ercole Incalza, già finito sotto inchiesta
della magistratura per 14 volte. Non ha mai ricevuto condanne definitive, in
compenso in più di una circostanza è intervenuta la prescrizione.
"Il manager è di casa alle Infrastruttre e ai Lavori Pubblici.
Voluto da Pietro Lunardi (secondo governo Berlusconi), confermato poi
da Matteoli e Passera (governo Monti), ha a che fare con l'Alta Velocità
da più di 20 anni, quando Ferrovie dello Stato (era il 1991) lo indicò come
amministratore delegata della nascente TAV. Vicino al socialista Claudio
Signorile, ministro dei Trasporti nei governi Craxi e considerato uno dei
'papà' dell'Alta Velocità".
Nel 1996
Incalza venne coinvolto nell'inchiesta che finirà per travolgere l'ex numero
uno delle Ferrovie Lorenzo Necci. Nel 1998 finì anche in manette, accusato
di aver corrotto (assieme a Necci e Pacini Battaglia) il numero uno dei GIP
romani, la vecchia conoscenza delle cronache Renato Squillante e il sostituto
procuratore di Roma Giorgio Castellucci, il quale aveva in mano un
fascicolo per abuso d'ufficio proprio su Incalza. Castellucci ne aveva chiesto
l'archiviazione in più di un'occasione, sempre respinta dal GIP.
Contemporaneamente Incalza finiva in una terza inchiesta, quella sul Terzo
Valico di Genova.
Nel 2006
l'inchiesta sul Terzo Valico finì in prescrizione. Stessa sorte nel 2007 per le
accuse di corruzione, prescitto assieme a Castellucci e Squillante.
Nel 2010 il
nome di Incalza compare nell'inchiesta sulla 'cricca di Anemone'. Protagonista ancora una volta l'architetto
Angelo Zampolini (lo stesso della casa al Colosseo dell'ex ministro Claudio
Scajola, oggi agli arresti con l'accusa di aver favorito la latitanza del
condannato Matacena), il quale avrebbe pagato (800mila euro) parte dell'appartamento
acquistato dal genero di Incalza, Alberto Donati. Incalza, secondo le
ricostruzioni dell'epoca, rassegnò le dimissioni dal Ministero. L'allora
ministro Altero Matteoli, oggi indagato per il MOSE, le respinse.
Ma non
finisce qui. Oggi Incalza risulta indagato per associazione a
delinquere finalizzata alla corruzione nell'ambito dell'inchiesta
sull'Alta Velocità in Toscana che ha visto finire agli arresti lo
scorso settembre l'ex presidente della Regione Umbria, Maria Rita
Lorenzetti, presidente di Italferr (che fa parte di Ferrovie dello
Stato). Nell'ordinanza del Gip si legge che l'ex governatrice avrebbe messo
"a disposizione le proprie conoscenze personali, i propri contatti
politici e una vasta rete di contatti grazie ai quali era in grado di promettere
utilità ai pubblici ufficiali avvicinati, nell'interesse e a vantaggio
della controparte Novadia e Coopsette". Incalza, secondo gli
inquirenti, "portava un rilevante contributo agli obiettivi
dell'associazione in quanto dirigente della unità di missione del Ministero a
cui faceva riferimento l'appalto Tav di Firenze, si attivava per
attestare falsamente che l'autorizzazione paesaggistica non era scaduta e che i
lavori erano iniziati entro i cinque anni e successivamente attestava che le
varianti al progetto non erano essenziali".
Oggi
Incalza, in qualità di numero uno del Ministero sulle Grandi Opere, potrebbe
trovarsi a dover interloquire anche con Raffaele Cantone, presidente dell'ANAC
e 'supervisore' della task force sull'Expo a cui Renzi darà i 'superpoteri'
venerdì 13 giugno. Un po' di imbarazzo?
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