Da alcuni anni stavamo facendo alcune
riflessioni sulla situazione italiana, su come è cambiata la politica del
nostro paese negli ultimi venti-venticinque anni. Ci è venuta voglia di
confrontare un po’ di teorie e di modelli politologici con quello che è successo
dopo aver posto questioni ad un senatore socialista ricevendo una sola risposta
per altro molto, ma molto,vaga: “Il mondo
è cambiato”. Allora ci siamo chiesti che cosa funzioni ancora di questi
modelli teorici e che cosa invece è stato superato dalla quotidianità della realtà.
E’ passato oltre un mese a ricercare, rielabore,
riassemblare e il risultato è stato duplice: da un lato in termini di qualità
della nostra democrazia e in termini di salute del nostro sistema politico, non
emerge un quadro troppo confortante. I problemi aperti vent’anni fa ci sono
ancora e in buona parte si sono anche aggravati con il passare del tempo.
Dall’altro però si aggiungono anche più vaste questioni irrisolte che toccano quasi
tutte le democrazie consolidate e che non appartengono solo al nostro paese.
Per esempio, la crisi economica o un rafforzamento delle leadership con la
diminuzione della presenza di corpi intermedi, della partecipazione e
condivisione sociale .
Non abbiamo voluto adagiarci solo sulla
spiegazione del ventennio berlusconiano, ma di allargare lo sguardo a più ampi
parametri di valutazione.
Certo, Berlusconi è stato una figura
dominante degli ultimi vent’anni, ma secondo le nostre valutazioni ci sembra un
po’ semplicistica l’idea che, venuta meno la parabola di un singolo leader,
cambierà la politica italiana. Casomai, va valutato il fatto che persino un
leader che ha avuto un grande potere di intervento, a livello di politiche
pubbliche ha cambiato molto poco
Siamo arrivati davvero alla fine di un’era politica
denominata “berlusconismo”? Cosa si sta muovendo sulla scena politica italiana?
Quale differenza intercorre tra l’operazione “mani pulite”, che portò al crollo
definitivo di tutti i partiti annessi alla “Prima Repubblica”, e il
proselitismo giudiziario che ruota intorno a Berlusconi?
Questa successione infantile tra prima e seconda
repubblica in realtà non è mai esistita. La scansione è puramente di carattere
giornalistico. Giuridicamente parlando, non ha motivo di reggere poiché non ne
è stato mai modificato l’assetto costituzionale, sotto il profilo della forma
di stato e di governo. La nostra è ancora una repubblica parlamentare e non
presidenziale.
“L’Italia è
una Repubblica Democratica fondata sul Lavoro” (Art. 1 Cost.). L’espressione del primo articolo è un concetto che va
preso con le molle. Nell'esperienza francese, diversamente da quella italiana,
alla IV Repubblica Parlamentare (1946-1958), che ricalcava il modello attuale
italiano verosimilmente, si sostituì una V Repubblica di carattere
presidenziale.
De Gaulle preferisce il
semipresidenzialismo poiché abbraccia i programmi del suo movimento “Francia
Libera” e le sue aspirazioni personali, di una Francia moderna e che allo
stesso tempo conservi un forte carattere nazionalista.
In Italia, come sostiene il Prof.
Pietro Scoppa in un suo autorevole saggio, con il riferimento alla caduta della
I Repubblica, ci si riferisce alla scomparsa di alcuni partiti che sono stati i
principali protagonisti di un’Italia neo-repubblicana, appena uscita dal
dominio incontrastato del Fascismo mussoliniano coinvolto nel secondo
catastrofico Conflitto Mondiale.
Ci sono degli elementi che ci fanno
capire come in realtà sia cambiato l’assetto dei partiti tra la I e la II
Repubblica e che ruolo abbia assunto l’ideologia all’interno di uno stato che
si è aperto alla globalizzazione.
Tra 1994 e il 1998, la legge
maggioritaria aveva cambiato il rapporto tra Presidente della Repubblica e
Presidente del Consiglio. Quest’ultimo non era nominato tra gli eletti al
Parlamento, ma coincideva perfettamente con il leader del partito (o della
coalizione) che aveva ottenuto la maggioranza alle elezioni. Ci si è avviati
dunque verso un presidenzialismo di fatto.
Scalfaro ricordò che la nostra era
una Repubblica Parlamentare. Quindi dal punto di vista scientifico non poteva
considerarsi “costituzionale” una tale procedura. Ma tantomeno comparivano
elementi di incostituzionalità.
Chi, infatti, avrebbe messo in
discussione la titolarità e la legittimità alla carica di Presidente del
Consiglio di Silvio Berlusconi che aveva raccolto i residui del vecchio mondo
politico e volti nuovi che avrebbero assicurato la tanto attesa rivoluzione
liberale? Praticamente nessuno.
Il sistema partitico che si sviluppa
a partire dal 1943, anno in cui inizia l’attività partigiana coincidente col
declino del Fascismo, è basato sul “Comitato di Liberazione Nazionale”.
I 6 partiti che ne fanno parte
(comunisti (PCI), democristiani (DC), azionisti (PdA), liberali (PLI),
socialisti (PSIUP) e demolaburisti (PDL)) combattono l'occupazione nazifascista
della penisola. Dal 1943 vengono gettate le basi del sistema partitico
italiano.
Questi avrebbero avuto un ruolo
determinante nella storia dei primi sessant’anni della Repubblica. Un sistema,
dunque, nato nello spirito della liberazione. Ironicamente, la formazione
egemonica di tali partiti veniva definita la “cittadella esantica”,
quasi a voler indicare un circolo chiuso dove si custodiva gelosamente la vittoria
della liberal-democrazia sul fascismo.
Dal 1947, al posto della
collaborazione che c’era stata fino a quel momento tra i partiti perché
accomunati dal nemico, subentra una netta cesura. Era già preannunciata. I sei
partiti erano diametralmente opposti. Quest’unione era stata funzionale alla
comune lotta contro il nazifascismo.
La contrapposizione tra USA e URSS,
infatti, fa già crescere la diffidenza tra la DC e il PCI. Questo determina una
situazione di forte e netta contrapposizione all’interno dello Stato Italiano.
La tensione è fortissima.
Si creano delle vere e proprie
scuole di partito, dove l’indottrinamento rappresenta la linfa che alimenta i
giovani militanti per impegnarli nella lotta dell’affermazione dell’ “idea”,
sfociando spesso e volentieri in dei specifici movimenti settari. Già questa è
una differenza forte con la vita e l’organizzazione dei partiti di oggi. La
vita di sezione era il primo approccio che la gioventù politica riceveva.
Dal 1962, la DC inizia a valutare
un’apertura a sinistra (PSI). Giovanni Orsina sottolinea che non è una
necessità ma una scelta. È la dirigenza del 54 che decide di dialogare con il
PSI, e chiude con la destra politica ed economica.
Perché?
Nel 1961, in un tentativo di dialogo
tra DC e MSI (Governo Tambroni) si scatenano furibonde proteste che bocciano
totalmente tale mossa politica. La destra monarchica, però, gioca un ruolo
importante in quanto stringe una serie di alleanze locali come quella di
Napoli, Lecce, l’ operazione Sturzo a Roma etc.
A partire dal governo Tambroni,
qualsiasi apertura a destra si rivela un fallimento. Questo sistema politico,
pertanto, si sviluppa verso sinistra, aprendo al PSI, col governo Moro (62-63)
fino agli anni 70 con l'attenzione verso il centro sinistra aprendo al PCI. Le
vicende del fallimento sono note e drammatiche: il rapimento e l'omicidio di
Aldo Moro.
Gli anni 79-80 rappresentano la fine
di qualsiasi possibilità di rinnovamento partitico. Il fallimento della
solidarietà nazionale (cioè della collaborazione di tutti i partiti al di là
delle ideologie per lo sviluppo del paese) fa capire che il sistema politico è
bloccato. Non si riesce più a trovare una causa per rilanciare la posizione del
centrismo. Si comincia a parlare di crisi politica dovuta alla mancanza di
proposte, di progettualità.
Evidentemente non si può più andare
oltre. A questa immobilità risponde Bettino Craxi che intercetta la modernità
degli anni 80 (come sostiene Gervasoni) e la fa propria.
C'è un'idea del PSI liberistica che
però si rende troppo spesso partecipe e complice di una nuova società corrotta
e senza scrupoli, quella degli affare e del miracolo degli anni 80. I due
vecchi partiti di massa fortemente ideologizzati si rivelano incapaci di
leggere i tempi e di farli propri.
Da un lato, infatti, abbiamo la DC
che sta sulla difensiva mantenendo posizioni radicali contro l'aborto, il
divorzio etc. quindi, una parte della società italiana si allontana dal mondo
cattolico e dall'impronta de-gasperiana; dall’altra parte abbiamo Berlinguer,
propagatore dell'eurocomunismo, che non ha colto la modernità che intanto
penetrava all’interno della società e che, d'altronde, è in molti casi ostaggio
della sinistra estrema che fa fallire i suoi tentativi di avvicinarsi al
governo (come per il caso Moro o per il caso del sequestro del giudice D'Urso
).
Gli avvenimenti del 94 non avvengono
all'improvviso. I fenomeni di scandalo, di corruzione e della famosa “tangente”
risalgono agli anni 70, si pensi allo “scandalo dei petroli” e poi ancora allo scandalo Lockheed.
C'è un sistema di corruzione che non
nasce negli anni 90 ma che è precedente, che si perde nei finanziamenti dati ai
partiti nei primi anni 50.
Un altro elemento importante è il
crollo del comunismo: la DC in questo contesto riesce ad essere il contenitore,
blocco moderato conservatore, tratto distintivo della società italiana. Nel
momento in cui il comunismo viene meno, questo collante che aveva convogliato i
voti sulla DC non c'è più e il PSI si scioglie sotto iltiroindrociato di
Tangentopoli.
Crollati i due massimi sistemi
partitici, venuto a mancare il blocco moderato e il blocco comunista, manca
l’alternativa: una destra moderata italiana. Negli anni che precedono il 94, si
riesce ad intendere che il potere schematizzato dalla politica sta crollando.
Ma il berlusconismo è un'anomalia
italiana o un fenomeno rivoluzionario?
Nel 94, per far fronte allo scandalo
che aveva travolto il mondo della politica, Berlusconi si presenta al popolo
con un progetto innovativo, come la speranza, come l'anti-politica di un tempo.
Recupera l'idea di partito leggero, post-ideologico, mediatico figlio dei
mass-media e di Publitalia, vagheggiato, senza riuscire nemmeno a tratteggiarlo,
anche da Veltroni che voleva un partito liquido, all’americana, che si riunisce
solo per le elezioni.
In quella fase Berlusconi sembra
intercettare anche lui un elemento di modernità, è lui l’erede del visionario
Craxi, troppo in anticipo suoi tempi per questo costretto a fuggire ad
Hammamet. Berlusconi diventa il punto di qualcosa di più liberale che ci sia.
In realtà Berlusconi illude il paese
con l'idea di una rivoluzione liberale. Il fenomeno dell’imprenditore che si è
fatto da se e che diventa “leader di un partito” sta a dimostrare che ormai
gliusi stanno cambiando.
Questo nuovo modello di partito non
è più il centro ideologico di adesione, ma si configura come una pubblica
impresa che offre determinati beni e servizi dove l’elettore, che in questo
caso diventa consumatore, sceglie liberamente. O quasi.
Per pilotare le scelte, è tipico di
una politica di stampo imprenditoriale manipolare l’informazione a proprio
favore per mostrare “l’universo” della propria offerta.
Nella Catalogna, nella Croazia, è
accaduto lo stesso, quasi nello stesso periodo. È stata un'anomalia e una risoluzione
allo stesso tempo che ha creato proseliti. Il sostanziale cambiamento è stato
quello di far politica diversamente, accentuando molto di più, come in Francia
e in Spagna, la figura del leader rispetto al partito, facendola soprattutto
prevalere come criterio di scelta dell’elettore, diversamente dai primi anni 50 quando il partito era visto come un
soggetto al di sopra del leader, anzi dove questi ultimi erano scelti dai
partiti e quasi sempre dopo le elezioni.
Si seguiva l’idea, e quest’ultima poteva
essere “amministrata” da qualsiasi esponente del partito.
La visione del mondo era diversa
durante gli anni 50-80, era una realtà che potremmo definire a trazione
ideologica. I tratti che si chiedono ad
un candidato oggi sono rigorosamente diversi: anzitutto una forte base economica e la capacità di
manifestare un carisma mediatico che colpisca ogni tipo di platea.
Tutto fuorché un minimo di cultura
politica affiancata da una buona preparazione tecnica, gli specialisti
annoiano, gli “showman” trascinano le folle.
Berlusconi è diventato l'asse su cui
si è polarizzato il discorso politico. Il
modo di ragionare esclude i ragionamenti di tipo politico (si è caduti nel
bipolarismo infantile Odio-Amo). Non avrà fatto la rivoluzione
istituzionale, ma il modo di concepire la politica stessa lo ha cambiato,
almeno nella sensazione comune.
Il fenomeno “Berlusconi” non è
nient’altro che un contenitore di un blocco moderato sommerso come lo è stata
la DC e come al suo tempo il Fascismo.
Parte degli esponenti della cultura
politica democristiana sostengono che il personalismo ha determinato una
profonda modifica dei partiti.
L’Italia è l’unico paese in Europa
che ha soppresso per sempre le quattro correnti politiche che sono state
protagoniste della nascita della Comunità stessa: Democristiani, Comunisti, Socialisti,
Liberali
Il pensiero democristiano, però, diversamente
da quello comunista e socialista, rappresenta ancora la speranza in quanto non
ideologizzato. Molti credono che la politica s’identifichi nel programma (è
questa la “politica del fare”), invece nella pratica odierna i partiti si
organizzano sui modelli che ritengono opportuni di inserire nelle istituzioni.
Dunque il programma potrebbe essere
definito come l’azione politica del governo. Il finto liberismo partitico, che
ha liberato la politica italiana da ogni ideologia, ha determinato un'anomalia:
né una repubblica presidenziale nè parlamentare.
L’inesistenza di una repubblica
presidenziale, facendo riferimento alla Costituzione, svuota il parlamento
della decisione, della sua stessa natura. I decreti del governo e la semplice
approvazione parlamentare (basata su di una maggioranza fedele al leader)
bastano per governare il paese.
Il voto del parlamento, si può dire,
è diventato superfluo in quanto è la figura del leader ad avere molto più
potere contrattuale rispetto agli eletti stessi.
Il parlamento dovrebbe avere la
capacità di imporsi come organo istituzionale, costituzionalmente tutelato e
non come burattino, nelle mani di una maggioranza accentrata sulla monografia
di un leader.
Cambiano i partiti, cambiano le
istituzioni, ma bisogna avere una cultura politica di riferimento?
Sì, perché è un codice di lettura
che bisogna avere, per affrontare i bisogni diversi nelle differenti stagioni,
facendo appello alla propria chiave di lettura acquisita attraverso lo studio.
La mancanza del codice di lettura da’ vita al personalismo, un'involuzione democratica drammatica che
svuotano le istituzioni parlamentari e democratiche trasformandole in “fantasmi
istituzionali”.
Il terreno della democrazia dove lo
si trova? Nel partito personale? Dal leader di Turno?
Il personalismo non dà più la
capacità di avere gruppi dirigenti. Il
partito basato sul personalismo privo di ogni dirigenza pluralista è la peggiore
arma democratica mai esistita.
Oggi c'è un
totalitarismo nel mondo della politica che è un circuito basato su finanza e
informazione. L’altro tratto distintivo che accompagna il personalismo, è il
genericismo.
Molti politici di esperienza
ventennale, invece, hanno visto in questo presidenzialismo di fatto una traccia
di stabilizzazione dei governi.
L'elettorato vota sapendo di
stabilizzare il governo, vedendo nella figura del leader la sicurezza, la
certezza ma non la coscienza. Con l’esperienza della prima repubblica invece
abbiamo visto come il voto al partito, e non al leader, era una delega in
bianco ad operare nel migliore dei modi possibili.
Il PCI ha sempre avuto una funzione
anomala. Messo continuamente fuori dal governo, esercitava pressione con un
grande sindacato di massa quale la CGIL. Soprattutto, condeterminava l'azione
di governo ma era fuori “la stanza dei bottoni”, influenzava e dialogava con i
governi sebbene non avesse ministri. Giorgio Galli lo definì il bipartitismo
imperfetto in quanto solo la DC governò effettivamente.
Ma la leadership allora era
condivisa?
Certamente no e una vera lotta era
all'interno della DC in cui le correnti erano veri partiti
E cosa ha fatto oggi Berlusconi per
riprendere le correnti? Che cos'è oggi la seconda repubblica?
Il PDL in qualche modo è stato rappresentato
come il partito di Silvio Berlusconi che ha riassemblato culture politiche
sotterrate nella prima repubblica. Erano culture estromesse e bandite.
La Destra era una cultura estromessa,
il socialismo autonomista in alternativa al PCI e alla DC era escluso, la
cultura laico - risorgimentale, la cultura Cattolica - liberale, tutte
soppresse.
Con la nascita del PDL si prospettò
una opportunità di uno spazio di agibilità e forse dignità a queste culture. Ma
il problema rimase e rimane tale. Opportunità non colta nella misura
prospettata. Sbagliata la metodologia nella ricalcatura del modello partitico
liquido e aziendalistico berlusconiano.
Il leader oggi è il centro di
compromessi e interessi che tiene lontane le correnti, magari a lottare per
qualcosa che è svanita da tempo: l’ideologia.
Dopo questo viaggio nella cultura
politica, possiamo ben dire che la struttura economica di Karl Marx ha prevalso
sul mondo della politica.
L’ideologia
è stata inglobata dal mercato, forse facendo smarrire quelle tracce di dignità
e di appartenenza che ritroviamo solo in qualche vecchio libro pieno di
polvere.
Con Renzi si completa la mutazione
della sinistra italiana.
La grande affermazione di Matteo
Renzi rappresenta uno spartiacque nella storia della sinistra italiana che,
oggi, ormai ridotti al lumicino i socialisti del PSI, completa la mutazione
genetica dell’ex PCI iniziata con il discorso della Bolognina di Achille
Occhetto. Un percorso lungo venticinque anni che è servito per traghettare la
storia dei comunisti italiani dentro un calderone indistinto di slogan in cui
si sono persi perfino gli elementi lessicali della sinistra che, pure nelle
mille contraddizioni e con elementi di subalternità, caratterizzava l'armamentario
politico recente del PDS-DS-PD.
Renzi è il risultato di un combinato
esplosivo: rifiuto della politica tradizionale e esaltazione della sua
spettacolarizzazione. Il binomio che ha caratterizzato gli ultimi venti anni di
politica nazionale e che si ripropone, in
forma simmetrica, sull'altro versante del bipolarismo.
Vi sono dei grandi assenti in questo
dibattito: quelli che
non si sono rassegnati alla mutazione genetica della politica italiana e che sono
ormai in preda ad un lungo letargo, quelli che si sono ridotti a fare da
commentatori critici di questa nuova e ormai dilagante stagione del “pensiero unico”,
quelli che dopo una serie
infinita di scandali, esempi di corruzione e malcostume e una miriade di casi
che hanno travolto la politica italiana, ormai provano un diffuso e scoraggiante senso di
disillusione e sfiducia preconcetta nei confronti della classe politica, cioè quell’ormai quasi 50% di cittadini che non esprimono
più il loro voto Se non c'è spazio per
questa posizione dentro il campo largo del Pd è necessario costruire un nuovo
campo di gioco della sinistra italiana ed europea. Necessario ed urgente.
Si dice che le ideologie del ‘900 sono morte e che la nostra era una società
postmoderna, postindustriale, post-post, permeata di una concezione ultra
relativista della realtà che la rendeva esente dall’essere inglobata in
un’ideologia politica dominante a cui ricondurre le scelte politiche dei
governi. Nemmeno questo è vero, in quanto a partire dalla metà degli anni ’70,
dalla soppressione degli accordi di Bretton Woods sotto l’amministrazione Nixon
e con le amministrazioni Reagan in America e Thatcher nel Regno Unito, abbiamo
assistito all’imposizione su un nuovo tipo di visione, quella del “pensiero
unico” come è stato definito in seguito, ovvero della dottrina neoliberista, della
deregolamentazione finanziaria, della soppressione dello Stato sociale e del
Sindacato, dei tagli indiscriminati alle tasse dei ricchi in una perversa
logica economica che in realtà ha tutti i caratteri di un’ideologia di Destra
in cui i ricchi diventano sempre più ricchi mentre la massa dei sempre più
poveri allarga inesorabilmente le sue fila, sprovvista, inoltre, di una forte
assistenza sociale da parte dello Stato.
Di fatto la Politica in questi ultimi
trent’anni ha abnegato alla sua funzione fondamentale di guida, di leadership
capace di fornire una visione, imprimere una direzione per limitarsi a svolgere
“i compiti a casa” che la Finanza e l’Economia le assegnavano. Sono i mercati
che decidono, i politici che si adeguano, mentre del tutto
secondaria è ormai diventata la volontà democratica del Popolo Sovrano-
Per cui?
Contrariamente al nostro senatore che
cavalca l’onda de “Il mondo è cambiato” ed io cambio come va il mondo, ci sentiamo
in piena coscienza di affermare che a
volte, come in questo caso, la scelta giusta è cambiare direzione.
(Beppe Vijno)
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