Al congresso nazionale
del Psi di Ancona (1914) venne riconfermata la maggioranza intransigente già
vincitrice al congresso di Reggio Emilia (1912).
Alla vittoria della
sinistra di Ancona, seguì una nuova affermazione dei riformisti all’interno
della Confederazione Generale del lavoro, ma questo apparente equilibrio in cui
il partito sembrava attestato, venne nuovamente turbato dalle vicende della
"settimana rossa".
Pietro Nenni che nel
1913 assunse la direzione del foglio repubblicano di Ancona
"Lucifero" e che all’inizio del 1914 assunse la segreteria della
Consociazione repubblicana delle Marche, si trovò alla guida della
manifestazione antimilitarista del 7 giugno 1914 (giornata celebrativa dello
Statuto del regno) ad Ancona. E fu appunto in questa manifestazione svoltasi
presso il Circolo Repubblicano di Ancona, detto Villa Rossa, che i carabinieri
rispondendo alla sassaiola di una piccola folla, aprirono il fuoco uccidendo
tre persone: due repubblicani e un anarchico.
L’incendio della rivolta
dilagò immediatamente e fu impetuoso. Venne proclamato lo sciopero generale che
dilagò in tutto il Paese che fu in buona parte paralizzato.
Nelle Marche e nella
Romagna la protesta assunse in qualche momento un carattere insurrezionale.
Presso Ravenna venne
catturato un generale. In alcune località si incendiarono caselli daziari,
municipi e qualche chiesa.
A Parma, che era il più
importante centro del sindacalismo rivoluzionario, si verificarono scontri a
fuoco tra dimostranti e squadre arruolate dagli agrari. In molte località della
Romagna, come a Fusignano si innalzarono gli "alberi della libertà"
(vedi foto).
Gaetano Arfé, dopo aver
rilevato che il carattere della rivolta ebbe una impronta anarchica e
repubblicana, scrisse: "… la predicazione mussoliniana aveva avuto la sua
parte nel prepararla, ed è ancora Mussolini a far dell’ "Avanti!"
l’organo dell’insurrezione mancata e a portare buona parte del proletariato
milanese su posizioni di combattiva solidarietà. (…) le velleità insurrezionali
– scrisse ancora Arfé – restano però localizzate all’epicentro dei moti. Nelle
zone a più diffusa penetrazione socialista non si va generalmente oltre la
solidarietà nella protesta contro gli eccidi. Anche però ad Ancona, donde il
movimento aveva preso le mosse e deve aveva sede il suo stato maggiore – dal
vecchio anarchico Malatesta al giovane repubblicano Nenni – nessuna
preparazione c’era stata, nessuna direzione era emersa, nessun piano, neanche
tattico, aveva guidato i dimostranti". Infatti i disordini appaiono dopo alcuni
giorni molto frammentati da luogo a luogo, perché i cani della rivolta non
ebbero prodotto alcun disegno rivoluzionario.
Lo storico Enzo
Santarelli osservò: "… nell’epicentro del movimento, quando si riscontra
che non esistono sbocchi politici, che la repubblica è di là da venire e che
l’apparato dello stato ha retto, è lo stesso Nenni a presentare ad una
assemblea convocata presso la Camera del lavoro un ordine del giorno per la
cessazione dello sciopero. Indipendentemente dalle critiche molto acerbe da parte
di Mussolini, degli anarchici e dei sindacalisti rivoluzionari, c’è da
osservare che è proprio l’agitatore repubblicano unitamente ad altri dirigenti
locali, a proporre la desistenza della lotta, dopo il ritiro della Cgil e un
sopraluogo in Romagna. Questo comportamento è già la spia di un maturo realismo
e, nel momento della sconfitta, di una notevole dose di sangue freddo".
Ritorniamo al momento
culminante della "settimana rossa". In certe località, specie della
Romagna, dove maggiormente vibrava lo spirito rivoluzionario e la folla in
rivolta divenne padrona della situazione, fu impedita la partenza dei treni,
vennero interrotte le comunicazioni, devastati i caselli daziari, uffici
telegrafici e stazioni ferroviarie. L’ira popolare si espresse anche con
requisizioni di armi, di automobili dei proprietari terrieri, vennero requisite
partite di grano e costituiti magazzini popolari.
A Ravenna, Bagnacavallo
e Mezzano, vennero distrutti i Circoli dei signori, ma non fu torto un capello
a nessuno. Non essendo dimenticati i tempi lontani della Repubblica Cisalpina,
si innalzarono gli "alberi della libertà".
Ecco quello che è
accaduto a Fusignano l’11 giugno 1914. Un gruppo di giovani, alla insaputa del
Comitato d’agitazione, si recò nel bosco del marchese Calcagnini, dove
sradicarono un diritto frassino lungo 15/16 metri e lo portarono in Piazza
Correlli di Fusignano e lo piantarono di fronte alla chiesa del Suffragio con
in cima una rossa bandiera presa dalla sede dei socialisti. Eretto l’albero
della libertà, si riunì spontaneamente una folla di dimostranti e curiosi che
salutarono con evviva la rivoluzione, poi il concerto cittadino si prestò a
suonare la Marsigliese, l’inno dei lavoratori e l’inno di Garibaldi. Con questa
spontanea cerimonia il Paese assunse un aspetto festoso. Un certo Antonio
Preda, dilettante fotografo, volle ritrarre la scena che riprodusse in
cartoline illustrate e che servirono per alcuni giornali illustrati nazionali
ma, servirono anche alla Polizia per individuare i partecipanti e procedere
agli arresti.
Le elezioni
amministrative che seguirono subito dopo i fatti della "settimana
rossa" daranno ai socialisti un nuovo successo, confermando così che la
spinta a sinistra ha realmente una base popolare e che malgrado la mancata
rivoluzione del 7 giugno, non ha allontanato le masse dal Psi.
Poi si assisterà a varie revisioni e conversioni quando la guerra europea batterà alle porte dell’Italia.
Poi si assisterà a varie revisioni e conversioni quando la guerra europea batterà alle porte dell’Italia.
di Giuseppe Manfrin
da Avanti della Domenica - 10 marzo 2002 - anno 5 - numero 10
da Avanti della Domenica - 10 marzo 2002 - anno 5 - numero 10
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