Forse ci sarebbe da sorridere di
fronte al penoso dramma dei media di regime che hanno salutato la partenza del
prode Anselmo al 40,8 % per la crociata europea, che ne hanno
anticipato le immancabili e vittoriose gesta per strappare la
flessibilità al barbaro inimico. Ma che oggi devono in qualche modo
constatare la sconfitta: il patto di stabilità non si tocca. Non si può
avere la botte piena e il premier ubriaco: non si può essere tra i grandi
elettori di Junker, fra la maggioranza dell’austerità ed essere al contempo
eretici rispetto ad essa, non si può avere austerità e crescita al tempo
stesso. Certo è imbarazzante cominciare a scoprire di essere accorsi sul carro
allestito da quegli stessi poteri che si volevano contestare e che le baruffe di
cui si narra tra Merkel e topo gigio sono robetta di cartapesta.
La cosa che però fa tristezza è che
il canovaccio sempre uguale della disarmante commediola può essere possibile
solo grazie ai silenzi e ai fraintendimenti di cui siamo vittime spesso inconsapevoli.
Sarebbe ben strano che a strappare qualcosa fossero proprio i personaggi di
volta in volta imposti (Monti), suggeriti (Letta), creati (Renzi)
da Berlino e Bruxelles; che possano essere davvero loro quelli che vanno a
battere i pugni contro gli sponsor che reggono i fili della loro fortuna. Ma a
parte i personaggi è il meccanismo stesso al quale siamo condannati che
non consente vie d’uscita: il patto di stabilità siglato nel ’97 e ribadito nel
2011 è strettamente collegato all’euro e non può essere significativamente
cambiato, come è giusto e ovvio che sia in presenza di una moneta spuria che
non ha gli stessi strumenti delle divise concorrenti ed è in comune tra Paesi
con interessi divergenti.
Peraltro esiste la possibilità di
una minima elasticità o flessibilità nei parametri, ma essa è affidata a
meccanismi da comma 22: può essere concessa solo dimostrando un miglioramento
nel perseguire i parametri stessi e dunque può intervenire solo quando a rigore
non ce n’è bisogno e non quando essa è necessaria a provocare i miglioramenti
stessi. Insomma, tanto per fare un esempio, bisogna dimostrare di riuscire a
stare dentro il 3% per poter ottenere qualche sconto sul fiscal compact: un
serpente che si mangia la coda. In ogni caso non è certo qualche elemosina
marginale che può migliorare la situazione e per di più viene taciuto il fatto
che questa flessibilità è già stata applicata all’Italia con il consenso della
Merkel permettendo l’operazione degli 80 euro senza copertura per
un’operazione di consenso che servirò soprattutto alla Germania per mantenere
l’austerità.
Ed è talmente evidente che la
flessibilità è divenuta un puro feticcio mediatico, senza alcuna consistenza se
non puramente contabile, che la risoluzione dei capigruppo di maggioranza
alla Camera, nella quale sono contenute le direttive in vista della presidenza
italiana del semestre europeo, approvata con 296 sì e 169 no, i riferimenti
all’allentamento del Patto di stabilità e del Fiscal
compact sono del tutto assenti. Tutto dunque si riduce ad assicurarsi la
complicità dei media nel vendere all’opinione pubblica un qualche fumoso
risultato, la solita supercazzola con tanto di cappello a destra. Fosse pure un
incarico di apparente prestigio all’interno della Commissione Ue nella quale in
ogni caso ci spetta un commissario. Meglio una carica di prestigio, anche
se di fatto inesistente come il “ministero degli esteri” retto finora dalla
baronessa Ashton direttamente dalla sua magione di campagna e purché non si
tratti di Letta o di qualche altro possibile rivale del guappo fiorentino.
Meglio la Mogherini che almeno è una riconosciuta esperta di
sinecure. Passa un giorno, passa l’altro, mai non quaglia il prode
Anselmo.
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