Der
Spiegel critica la miopia della cancelleria tedesca, che ha rinunciato al ruolo
di unificatore dell'Europa della Germania
Angela Merkel sul banco
degli imputati. Il trionfo dei populismi nazionalisti è il riflesso della
gestione dell’eurocrisi data da Angela
Merkel. Invece che dare una risposta europea alle difficoltà
dell’unione monetaria, la strada scelta dalla cancelleria, il perseguimento
dell’interesse tedesco, ha determinato le condizioni che hanno favorito il boom
delle formazioni no euro.
ANGELA MERKEL E
L’UE -
Un’analisi di Der Spiegel, scritta da Jakob Augstein, figlio
del fondatore del settimanale tedesco, rimarca come Angela Merkel stia
mostrando profondo disprezzo per l’elettorato europeo. Le elezioni per il
Parlamento UE si sono concluse con la vittoria di Jean-Claude Juncker,
il candidato del Ppe per la presidenza della Commissione. La prima reazione a
questo risultato elettorale della cancelleria è stato impedire che si
procedesse alla sua nomina; l’Europarlamento si è unito sul nome di Juncker, ma
la Merkel, temendo di perdere David Cameron, ha preferito mettere nel freezer
la scelta del presidente della Commissione, cercando invece di trovare un
accordo complessivo con l’intera partita delle nomine europee, che includono
anche il presidente del Consiglio Europeo, l’Alto rappresentante della politica
estera e Mr Euro, il coordinatore dei ministri finanziari dell’unione
monetaria. Secondo Der Spiegel il comportamento della Merkel rappresenta il deficit
democratico che si imputa alle istituzioni comunitarie, ovvero
la cesura tra la volontà espressa dal popolo e le decisioni prese dagli
organismi UE.
L’UE ED I
NAZIONALISMI -
Per Augstein queste elezioni sono state storiche perchè hanno determinato la
nascita di un nuovo soggetto politico, l’elettorato europeo, unito attorno a
candidati comuni. L’inizio di una vera democrazia, che avversari dell’Europa
come Marine Le Pen e David Cameron non rispettano e non comprendono proprio
come la Merkel, euroindifferente. Il commentatore di Der Spiegel rimarca che
chi si basa sullo stato nazionale, in modo moderatamente borghese o pieno di
ostilità razziale, sarà nel lungo periodo una minaccia per l’Europa, dal punto
di vista politico, economico e sociale. «La grande crisi europea non è stata determinata dai Sinti
o dai Rom, come da caccia della Le Pen, oppure dai disoccupati degli altri
paesi europei che la Merkel non vuole in Germania. Essa è stata innescata dalle
banche, e contro gli istituti di credito tanto la Germania del miracolo
economico quanto la Francia profonda non possono fare nulla. E lo stesso vale
per la crisi con l’Ucraina o per i temi concernenti la privacy relativi alla Nsa
o Google».
ANGELA MERKEL E I
NAZIONALISMI -
Il grande fallimento di Angela Merkel è l’aver
rinunciato alla soluzione europea per superare la crisi, come
fecero i suoi predecessori Adenauer coi Trattati di Roma, Helmut Schmidt con il
sistema monetario europeo, oppure Helmut Kohl con i Trattati di Maastricht. Il
germanesimo della Merkel sarà nel lungo periodo non solo un danno per l’Europa, ma anche
per la stessa Germania. Se l’euro crollasse l’economia più importante
dell’unione monetaria ne subirebbe conseguenze pesantissime. In questo si nota
secondo Augstein la miopia della cancelleria, così come l’insincerità dei
leader no euro. Angela Merkel ha cercato di trovare uno spazio di manovra per
l’interesse nazionale che in realtà non esiste. «Bisogna fare politiche uguali per
tedeschi e francesi. Con uno sguardo nel breve periodo si scorgono interessi
diversi, ma nel lungo non è così. Il compito della politica è conciliare queste
due prospettive». La prevalenza della miopia sull’interesse
nazionale ha determinato l’esito delle ultime elezioni europee, che però
avrebbero dovuto essere combattute su un’altra prospettiva. Secondo l’analisi
di Der Spiegel la Merkel avrebbe dovuto combattere per gli Stati Uniti d’Europa
che non hanno impedito al PD di Matteo Renzi il grande successo ottenuto
domenica 25 maggio.
(Andrea Mollica)
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