Pensare Globale e Agire Locale

PENSARE GLOBALE E AGIRE LOCALE


lunedì 28 luglio 2014

L'ANALISI - Quale futuro per Gaza?


Il direttore delle operazioni Unrwa nella Striscia si interroga sul futuro di questo territorio dopo le violenze. "Tornare alla normalità - dice - significa tornare a otto anni di blocco, al 50% di disoccupazione e all'isolamento"

Un "ritorno all’accordo di cessate il fuoco del novembre 2012 tra Israele e Hamas[1]". È quanto chiesto dal Consiglio di sicurezza dell'Onu su richiesta della Giordania, convocato d'urgenza nella notte tra il 20 e il 21 luglio a New York. Dopo due ore di consultazioni a porte chiuse, in una dichiarazione letta dal presidente del Consiglio, l'ambasciatore ruandese Eugène-Richard Gasana, i 15 paesi membri chiedono "il cessate il fuoco, la fine immediata delle ostilità e il rispetto del diritto internazionale umanitario, compresa la protezione dei civili" nella Striscia di Gaza. Tutto questo mentre, nelle stesse ore, dall'altra parte del globo jet e carri armati israeliani hanno continuato a colpire la Striscia di Gaza. Alle prime ore dell'alba l'esercito dà la notizia che le forze israeliane hanno ucciso almeno 10 combattenti palestinesi che avevano varcato il confine da Gaza attraverso due tunnel.
'IL DRAMMA DELLE FAMIGLIE SFOLLATE TRA BOMBE, RAID AEREI E DISTRUZIONE. A due settimane dall'inizio degli scontri, l'8 luglio, il bilancio sale ora a 501 i morti palestinesi, 13 israeliani, 3.135 i feriti e migliaia di sfollati. Secondo l'Unrwa[2], l'agenzia per i rifugiati dell'Onu infatti, sarebbero più di 63mila (ma fonti locali parlano di 81mila) le famiglie palestinesi che in queste ore stanno lasciando le loro abitazioni distrutte dai bombardamenti nelle cinque aree della Striscia, trovando riparo in 55 scuole  dell'Unrwa che funzionano come rifugi di emergenza. Ma la situazione è difficile anche per gli aiuti. L'agenzia ha lanciato un appello per continuare a fornire a famiglie e bambini cibo, cure mediche e aiuti d'emergenza come materassi, coperte, kit per igiene personale. Intanto il segretario generale dell'Onu, Ban Ki-moon, giunto in Qatar, nuovo crocevia diplomatico in queste ore, ha parlato di "atrocità" a Gaza, chiedendo a Israele di "fare di più" per salvaguardare la vita dei civili.
L'OSTINAZIONE DI NETANYAHU  E L'ARRIVO DI JOHN CARRY AL CAIRO. E mentre la situazione umanitaria nella Striscia di Gaza è al collasso e si continua ancora a combattere, tra la paura e il terrore della gente Il premier israeliano Benyamin Netanyahu fa sapere che andrà avanti per la sua strada: "Completeremo la missione - ha fatto sapere poche ore fa -. Riporteremo la pace nel sud e nel centro di Israele. Non abbiamo scelto di entrare in questa campagna, ci è stata imposta". Parole che sembrano allontanare ogni possibilità di raggiungere un accordo diplomatico, come anche auspicato dall’ONU. Nel frattempo, secondo il portavoce del Dipartimento di stato, Jennifer Psaki,  il 21 luglio il segretario di stato americano, John Kerry, è arrivato al Cairo per discutere la situazione a Gaza, sottolineando che gli Stati Uniti sono preoccupati per il rischio di un’ulteriore escalation e per la perdita di altre vite innocenti. "Riteniamo debba esserci un cessate il fuoco il prima possibile, uno che ripristini l'accordo del novembre 2012", ha insistito la portavoce Psaki, rinvigorendo il messaggio del Presidente Barack Obama.

L'ANALISI DI ROBERT TURNER SUL FUTURO DI UN TERRIROTIRO DEVASTATO DALLA GUERRA
"Mentre siedo nel mio ufficio, che è diventato anche la mia stanza da letto qui a Gaza, con l'orecchio teso al boato dei bombardamenti, si parla di come porre fine a tutta questa violenza. È sicuramente la priorità, soprattutto per i tanti civili che stanno caricando il peso di questa ultima escalation. Ma quando penso alle 17.000 persone sfollate che hanno cercato protezione nelle nostre scuole, con alcune delle quali ho parlato ieri, mi domando cosa ne pensano. Sono già passati attraverso tutto questo, per alcuni è il terzo sfollamento dal 2009, molti sono tornati nella stessa scuola che li aveva già ospitati in passato. Se il cessate il fuoco dovesse finire alla stessa maniera delle volte precedenti, non sarebbero comunque portati a interpretarlo come un'altra breve pausa, tra una violenza e l'altra?
Per Gaza, tornare alla normalità significa tornare a otto anni di blocco. Significa tornare a una situazione in cui oltre il 50 per cento della popolazione è disoccupata o comunque non viene pagata. Significa tornare a un isolamento che non permette nessun accesso al mercato, lavoro, educazione, insomma al mondo. Per esempio, se una delle nonne con cui ho parlato ieri volesse studiare all’università di Birzeit, in Cisgiordania, non potrebbe. Il governo di Israele non ha bisogno di dimostrare che questa nonna è un pericolo per la sicurezza, in quanto hanno già approvato un veto totale su tutti i gazawi che vogliano studiare in Cisgiordania. La maggior parte dei suoi abitanti, non può lasciare i 365 km quadrati in cui vive.
Se uno degli agricoltori con cui ho parlato ieri potesse trovare un acquirente per i suoi pomodori a Parigi o Praga potrebbe mettere in una scatola i suoi prodotti e spedirli tramite un varco commerciale al porto di Ashdod o all'aeroporto di Ben Gurion, due tra i siti più sensibili in termini di sicurezza di tutta Israele. Ma non c'è mercato per i pomodori di Gaza a Parigi o a Praga. Ci sarebbe un mercato in Israele e Cisgiordania, ma questo contadino non può vendere i suoi pomodori perché rappresentano un problema alla sicurezza, non meglio definito. Gli anziani che ho incontrato ieri si preoccupano di come potranno accedere al sistema sanitario una volta finita l'emergenza. Al di fuori dei servizi degli ambulatori dell'Unrwa e di qualche ONG sul campo, il sistema pubblico è al collasso. Le infrastrutture sono state gravemente danneggiate e ci si chiede chi potrà ripararle. Se all'Autorità Palestinese non viene concessa la possibilità, o non ha i fondi per farlo, lo deve fare la comunità internazionale? O deve essere Israele, la potenza occupante, ad assumersene la responsabilità?
Le madri che ho incontrato ieri si chiedono dove studieranno i loro figli tra sei settimane, il tempo della pausa estiva, se non nelle 245 scuole dell'Unrwa. Chi aggiusterà le scuole governative, comprerà i libri di testo, pagherà i salari agli insegnanti? Se le scuole pubbliche non riapriranno, è Unrwa  che deve riempire questo vuoto? Non abbiamo la capacità fisica, umana, finanziaria di integrare decine, centinaia, o migliaia di studenti nelle nostre scuole già sovraccariche. Unrwa  e la famiglia delle Nazioni Unite, inclusi Wfp, Unicef, Ocha e Undp, continuano ad occuparsi delle necessità umanitarie delle persone di Gaza. Tra i settori che abbiamo allargato negli ultimi anni c'è quello delle costruzioni: prevalentemente scuole, nelle quali insegniamo a oltre 230.000 bambini, e ricostruzione delle case distrutte dai bombardamenti o demolite da Israele.
Se vogliamo dare avvio a una nuova costruzione, dobbiamo prima presentare a Israele una procedura complessa, che specifica il progetto, il luogo, le spese, la quantità di materiale che servirà. Poi Israele giudica la proposta, fase che dovrebbe durare due mesi ma che invece dura di solito 20 mesi. Non abbiamo ricevuto una sola approvazione nel periodo di "calma" tra marzo 2013 e maggio 2014 e abbiamo progetti del valore di 100 milioni di dollari che aspettano un 'SI'. Il prossimo periodo di calma sarà meglio? Ancora più importante: la gente vuole sapere chi governerà Gaza. Nessuno ha una risposta per questa domanda. Penso che la gente di Gaza direbbe che se è questa la "calma" che hanno in mente, sebbene preferibile alla violenza, non può durare. Non durerà".

NOTE
[1]
Ḥarakat al-Muqāwama al-Islāmiyya (Movimento Islamico di Resistenza) è un'organizzazione palestinese, di carattere politico, paramilitare e terrorista secondo l'Unione Europea, in base alla Posizione comune del suo Consiglio (2005/847/PESC del 29 novembre 2005), secondo gli Stati Uniti e l'Australia.
[2] Il Comitato italiano per l'UNRWA è parte integrante della struttura dell'Agenzia ONU per i rifugiati palestinesi (United Nations Relief and Works Agency for Palestine Refugees) che dal 1949, su mandato dell'Assemblea Generale, fornisce assistenza e protezione ai rifugiati palestinesi in attesa di una giusta soluzione alla loro condizione.

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