Lo avevamo preannunciato all'inizio dell'anno, oggi è più che mai
realtà: il mondo è una
polveriera. Anzi, peggio. Tutto ciò che allora poteva essere
infatti solo ipotizzabile, oggi è un vero e proprio teatro di morte, conflitto
tra i conflitti, ulteriore fronte in un presente caratterizzato dalla violenza.
Come ha detto con grande efficacia ed estrema sintesi qualche giorno fa in
un'intervista alla CBS
Madeleine Albright, Segretario di Stato USA durante la presidenza Clinton, "senza esagerare, il mondo è un
casino".
Ovviamente il pensiero porta immediatamente alla Striscia di Gaza, dove il rinnovato astio armato tra Israele e Hamas sta mietendo vittime, in larga parte civili, in un'escalation brutale che appare al momento senza fine. Oppure nella Libia del dopo Gheddafi, ancora una volta trascinata da milizie e fazioni nel baratro della guerra civile. E ancora in Iraq, Ucraina, Siria.
Ovviamente il pensiero porta immediatamente alla Striscia di Gaza, dove il rinnovato astio armato tra Israele e Hamas sta mietendo vittime, in larga parte civili, in un'escalation brutale che appare al momento senza fine. Oppure nella Libia del dopo Gheddafi, ancora una volta trascinata da milizie e fazioni nel baratro della guerra civile. E ancora in Iraq, Ucraina, Siria.
Tuttavia, in questa
macabra giostra, non
vanno dimenticati anche i focolai che raramente, o peggio mai, guadagnano le
prime pagine dei giornali, anche solo un piccolo ritaglio. In
tutto questo, come ha ricordato Bobby Ghosh del Quartz, la settimana che sta per finire è
stata a tutti gli effetti una
delle più nere per quanto riguarda la violenza internazionale,
con il più che reale rischio che le prossime siano anche peggio.
Di seguito, punto per
punto, ecco una carrellata delle peggiori brutalità - famose o meno - degli
ultimi sette giorni.
Striscia di Gaza
Cominciata l'8
luglio, entra sabato nel suo 26esimo giorni l'operazione dell'Esercito
israeliano a Gaza denominata "Protective Edge". Ciò che sta avvenendo
nel MO è piuttosto noto, largamente seguito e di ampia risonanza. Nell'ultima
settimana, tra bombardamenti sulle scuole, cessate il fuoco violati e soldati
rapiti, è certamente una delle peggiori dall'inizio delle ostilità che
contrappongono, ancora una volta, Tel Aviv ad Hamas. Il bilancio dei morti, in
continuo aggiornamento e quindi difficilmente preciso al millesimo, conta oltre 1400 vittime tra i civili
palestinesi, con un gran numero di donne e bambini. Nel
frattempo, mercoledì, per la seconda volta dall'avvio di "Protective
Edge" un istituto dell'UNRWA (agenzia ONU per l'aiuto ai rifugiati
palestinesi) nella Striscia di Gaza è stata colpito dal fuoco dei
bombardamenti, azione che le Nazioni Unite addossano ad Israele. Ancora più
recentemente, inoltre, l'ennesimo tentativo di un cessate il fuoco è fallito
miseramente tra le reciproche accuse di Tel Aviv e Hamas. Annunciata per
venerdì, teoricamente della durata di 72 ore, la tregua umanitaria fortemente sponsorizzata dal
Segretario di Stato USA John Kerry e dal Segretario Generale dell'ONU Ban
Ki-moon si è infranta solo due ore dopo, con almeno due soldati
dell'IDF uccisi e una sessantina di vittime palestinesi. La rottura, di cui la
comunità internazionale incolpa Hamas, ha ovviamente peggiorato ulteriormente
la situazione, allontanando momentaneamente i colloqui diplomatici mediati
dall'Egitto e radicalizzando, ulteriormente, il conflitto.
Cina, Xinjiang
La regione forse più
inquieta di tutto il Dragone, agitata dalle tensioni tra i 'coloni' voluti da
Pechino e gli abitanti autoctoni del gruppo etnico degli Uiguri (turcofoni,
musulmani), è tornata a sanguinare martedì. Stando alle agenzie del Paese,
armati di coltelli e asce, alcuni aggressori (terroristi, per il governo,
colpevoli di un "premeditato e organizzato" attacco terroristico)
hanno preso d'assalto una stazione di polizia e alcuni edifici pubblici in un
piccolo centro abitato della prefettura di Kashgar, mietendo decine e decine di
vittime civili indistintamente tra gli Han (i 'coloni' dello Xinjiang di etnia
cinese) e gli Uiguri. Dell'attacco, come in altre occasioni decisamente più
seguite dai media internazionali (si
pensi all'autobomba in piazza Tienanmen), il governo ha
incolpato senza possibilità di appello le frange estremiste degli Uiguri,
facendo sbrigativamente calare il silenzio sugli eventi. Tuttavia, nonostante
le difficoltà di avere report dettagliati dovuto all'imponente controllo
sull'informazione esercitato da Pechino, appare piuttosto evidente come la situazione dello Xinjiang stia
degenerando, dipingendo scenari futuri di ulteriore violenza -
da una parte e dall'altra - e di brutalità.
Ucraina
Dopo un'iniziale
attenzione a tutto tondo, nel corso dei mesi le fasi della crisi ucraina sono
finite, colpevolmente, sotto il tappeto. A riaccendere i riflettori sull'ex
satellite sovietico è stato l'abbattimento del volo MH17 della Malaysia Airlines, colpito
mentre volava sulla regione orientale del Paese controllata dai ribelli
filo-russi. Tra Kiev e Mosca, mentre esperti internazionali faticano tra le
esplosioni ad esaminare il luogo dell'impatto, è scambio di accuse a viso
aperto. Secondo i funzionai ucraini la colpa è assolutamente dei filo-russi
armati e sponsorizzati dal Cremlino, secondo Putin la versione del missile BUK
- di cui non è chiaro se i separatisti siano in possesso - è da scartare, tanto
che alcuni satelliti avrebbero registrato la presenza di almeno due caccia di
Kiev nei pressi del Boeing pochi minuti prima dell'abbattimento. L'episodio,
che non ha fatto altro che alzare la tensione, ha contribuito anche ad una rinnovata e serrata guerriglia tra le
Forze Armate dell'Ucraina e i ribelli, particolarmente violenta
nell'ultima settimana. Secondo dati forniti dall'ONU, da quattro mesi a questa parte, il
conflitto ha messo a bilancio oltre 1000 morti e più di 3000 feriti.
Camerun, Boko Haram
Conosciuto
principalmente per il rapimento
di oltre 200 ragazze, il gruppo che sta mettendo a ferro e
fuoco la Nigeria ha mostrato al mondo quanto sia poco 'locale' il terrore che
si porta dietro. Come riportato in sordina dalle agenzie, nei giorni scorsi i
militanti di Boko Haram hanno attraversato il confine con il Camerun, rapito
almeno tre persone, e lasciato a terra numerose vittime. Tra i catturati, a dare l'idea dell'alto
valore simbolico di questa azione, la moglie del vice primo ministro del
Camerun Amadou Ali, rapita con un leader religioso e un
politico locale di un villaggio sulla frontiera tra Nigeria e Camerun.
Quest'ultimo, già da qualche tempo, si è impegnato a costituire, con la
collaborazione di Niger e Ciad, una forza speciale interna alla Nigeria che
potesse mettere i bastoni tra le ruote ai Boko Haram, che nonostante tutto
sembrano poter agire
indisturbati terrorizzando tutta la regione.
Libia
Sull'orlo di una
rinnovata guerra civile, Tripoli
appare oggi come una bomba ad orologeria troppo complicata da disinnescare. Tra
fazioni islamiste, non islamiste e gruppi qaedisti, la violenza ha portato nei
giorni scorsi alla semi-distruzione dell'aeroporto di Tripoli, mentre in varie
zone del Paese andavano a fuoco cisterne di benzina e le rispettive offensive
lasciavano ben poca speranza per un futuro di serenità dopo la rivoluzione, tre
anni fa, contro il rais Gheddafi.
Nel frattempo il caos regna anche a Bengasi, dove solo pochi giorni fa
militanti jihadisti hanno annunciato di aver preso il controllo della città,
proclamando la costituzione
di un emirato islamico. La notizia, tuttavia, è stata smentita
nel giro di poche ore da Khalifa Haftar, il generale che combatte gli islamisti
e assoluto protagonista degli avvenimenti degli ultimi giorni in Libia.
Avvenimenti che hanno portato, inoltre, ad una sorta di esodo diplomatico dal
Paese. Molte ambasciate,
tra cui quella Statunitense e quella dell'Unione Europea, si sono infatti messe
alle
Iraq
Con la politica di Baghdad al palo,
incapace di costituire un governo che superi l'amministrazione settaria di
Maliki, l'avanzata da Nord dell'ISIS,
gruppo jihadista rinnegato da Al Qaeda, sembra continuare indisturbata.
Dapprima impegnati come parte del frammentario mondo dei 'ribelli' in Siria,
gli uomini dello Stato Islamico dell'Iraq e del Levante hanno attaccato dal
nord dell'Iraq all'inizio di giugno, guadagnando terreno nei confronti di un
Esercito particolarmente impreparato e riuscendo
così a costituire, e per il momento a mantenere, un vero e proprio califfato
tra Damasco e Baghdad. Proprio nella capitale irachena,
nonostante una presenza maggiore di militari sotto attacco ripetuto, venerdì
un'autobomba ha ucciso sei persone ferendone poco meno di una ventina,
ingrossando i bilanci e delineando una situazione ai limiti del catastrofico. Basti pensare, benché in calo da
giugno (2400 vittime), che solo nel mese di luglio, secondo dati da considerare
al ribasso dell'ONU, sono morte poco più di 1700 persone in tutto il Paese.
Per approfondire,
leggi anche:
Filippine, Abu Sayyaf
È di 23 morti il
bilancio di un attacco del gruppo separatista e islamista delle Filippine, da anni in
conflitto con uno Stato centrale a prevalenza cattolico. L'azione, che è stata
portata a termine nel sud del Paese, ha avuto come vittime civili che si
stavano spostando da un villaggio all'altro per passare la fine del Ramadan con
alcuni parenti. I militanti di Abu
Sayyaf, secondo le agenzie, armati di fucili d'assalto hanno
aperto il fuoco contro almeno una cinquantina di persone, uccidendone 23 tra cui 6 bambini.
Siria
Finito pressoché nel
dimenticatoio, il conflitto siriano - una guerra estenuante che continua da più
di tre anni - è tutt'altro che finito. La compagine ribelle non estremista,
appoggiata in primis dagli Stati Uniti, appare ormai solo come un vago ricordo,
spazzata via dalla brutalità e violenza di gruppi qaedisti e non. Nel frattempo
le Forze Armate di Bashar
al-Assad, riconfermato presidente qualche mese fa, sembrano in
grado di mantenere le roccaforti, mentre non mancano i report di territori
riconquistati e strappati ai ribelli. Tuttavia, com'è piuttosto semplice
immaginare, sul fronte siriano le variabili in gioco sono molte, e
difficilmente si può ipotizzare che ci siano altri 'sconfitti' oltre ai civili,
braccati dagli estremisti dell'Islam e dai raid dell'Esercito regolare. A tal
proposito, secondo un report pubblicato mercoledì dall'ONG Human Rights Watch, i soldati di Assad avrebbero violato
in pieno una risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite
(2139 del 22 febbraio
2014) che bandiva l'utilizzo delle cosiddette "barrel bombs"
(barili carichi di esplosivo e di materiale metallico, lanciate in particolar
modo dagli elicotteri) sui civili. Nel frattempo, secondo gli ultimi dati
disponibili, il bilancio
dall'inizio dei combattimenti ha raggiunto, e superato, le 170 mila vittime, in
larga parte civili.
Sud Sudan
Nel terzo
anniversario dalla sua nascita, il piccolo Stato africano ha ben poco da
festeggiare. Il conflitto tra gli uomini del presidente Salva Kiir e i ribelli
guidati da Riek Machar
continua a mietere vittime, mentre si affaccia con sempre maggiore insistenza
sul Paese lo spettro della carestia. Insomma, quella del Sud Sudan,
caratterizzata da scontri a forte valenza etnica - i Dinka di Kiir contro i
Nuer di
Machar -, dietro al quale comunque si muovono disegni politici tutt'altro che
settari, è una crisi umanitaria a tutto tondo. Centinaia e centinaia di
persone, soprattutto civili, sono morte dallo scoppiare delle ostilità nel
dicembre del 2013, mentre secondo l'ONU sono almeno un milione e mezzo le
persone sfollate, costrette dai combattimenti e dalla fame a lasciare le
proprie case. Solo qualche giorno fa, mentre colloqui diplomatici tra le parti
mediati dall'Etiopia sono stati ulteriormente rimandati a lunedì prossimo, le Nazioni Unite hanno fatto sapere
che quella del Sud Sudan è a tutti gli effetti la crisi alimentare più grave di
tutto il mondo, aggiungendo che almeno 3,9 milioni di persone non hanno accesso
ad una quantità di cibo sufficiente.
Afghanistan
Anche a Kabul, come a
Baghdad, lo stallo politico sta tutt'altro che contribuendo a stemperare la
tensione nel Paese. Quando sono ormai passati parecchi mesi dal voto,
l'Afghanistan non ha ancora un presidente a causa delle continue accuse di
brogli tra i due candidati rimasti in gioco dopo il ballottaggio, Ashraf Ghani e Abdullah Abdullah.
Intanto, mentre i Talebani continuano a colpire il Paese, martedì un attentatore suicida, che portava
l'esplosivo nel suo turbante, si è fatto esplodere nella provincia del
Kandahar, nel sud dell'Afghanistan, uccidendo il cugino dell'attuale presidente
Hamid Karzai, Hashmat Khalil Karzai, sostenitore della campagna
e della vittoria di Ashraf Ghani.
Repubblica
Centrafricana
In linea del tutto
teorica, quello di Bangui
è l'unico fronte aperto che presenta una sottile, labile buona notizia. Le due
parti in conflitto, gli anti-balaka
(cristiani) e i Seleka (musulmani), hanno infatti raggiunto
questa settimana un cessate
il fuoco che può, seppur con i piedi di piombo, porre fine ad
un conflitto che ha portato a violenze di assoluta brutalità. Tuttavia, come
riportato dalle Nazioni Unite venerdì, la
situazione non è poi cambiata molto. Nonostante la tregua e i
colloqui diplomatici, infatti, i civili continuano a morire, con 26 vittime riportate all'inizio di
questa settimana nella prefettura dello Ouham. Dall'inizio
delle ostilità, nel dicembre dello scorso anno, il bilancio parla di migliaia e
migliaia di vittime, mentre secondo i dati dell'ONU sono almeno 527 mila gli sfollati, di
cui 102 mila solo nella capitale Bangui.
Luca Lampugnani
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